“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”
È alla settima Beatitudine che Papa Francesco dedica la catechesi dell’udienza generale; la Beatitudine più attiva, dirà. Ma fa subito notare che per capirla veramente bisogna spiegare che cosa significhi la “pace”, una parola spesso fraintesa o banalizzata. E spiega che ci sono due idee di pace: la prima che nella Bibbia viene indicata con la parola shalòm, ed “esprime abbondanza, floridezza, benessere”.
Quando in ebraico si augura shalòm, si augura una vita bella, piena, prospera, ma anche secondo la verità e la giustizia, che avranno compimento nel Messia, principe della pace.
L’altro significato che viene attribuito alla parola pace è quello di “una sorta di tranquillità interiore”. Pace come “quiete, armonia, equilibrio interno”. Francesco commenta:
Questa seconda accezione è incompleta e non può essere assolutizzata, perché nella vita l’inquietudine può essere un importante momento di crescita – tante volte è il Signore stesso che semina in noi l’inquietudine per andare incontro a Lui, per trovarlo. In questo senso è un importante momento di crescita – mentre può capitare che la tranquillità interiore corrisponda ad una coscienza addomesticata e non ad una vera redenzione spirituale. Tante volte il Signore deve essere ‘segno di contraddizione’, scuotendo le nostre false sicurezze, per portarci alla salvezza.
Gesù dice che la pace che lui porta è diversa da quella del mondo e allora Papa Francesco si domanda “come dà la pace il mondo?” E guardando ai tanti conflitti dice che di solito si arriva alla pace o per la vittoria di una delle parti o attraverso un trattato, ma osserva, dobbiamo constatare che la storia è piena “di trattati di pace smentiti “da guerre successive, o dalla metamorfosi di quelle stesse guerre in altri modi o in altri luoghi”. E prosegue:
Anche nel nostro tempo, una guerra “a pezzi” viene combattuta su più scenari e in diverse modalità. Dobbiamo perlomeno sospettare che nel quadro di una globalizzazione fatta soprattutto di interessi economici o finanziari, la “pace” di alcuni corrisponda alla “guerra” di altri. E questa non è la pace di Cristo!
Nella prima lettura di oggi, tratta dalla Lettera agli Efesini, san Paolo spiega che Gesù porta la pace annullando l’inimicizia e riconciliando. E lo fa dando la sua vita sulla croce. Ecco allora chi sono gli “operatori di pace”. E Francesco osserva che questa Beatitudine “è la più attiva, esplicitamente operativa”, sottintende “iniziativa e laboriosità”.
L’amore per sua natura è creativo e cerca la riconciliazione a qualunque costo. Sono chiamati figli di Dio coloro che hanno appreso l’arte della pace e la esercitano, sanno che non c’è riconciliazione senza dono della propria vita, e che la pace va cercata sempre e comunque. Sempre e comunque: non dimenticare questo! Va cercata così.
Fare questo è agire come figli di Dio, mediante la sua grazia. Il Papa afferma che dunque il vero equilibrio interiore viene dalla pace portata da Cristo capace di generare “un’umanità nuova, incarnata in una infinita schiera di Santi e Sante, inventivi, creativi, che hanno escogitato vie sempre nuove per amare”. In questa vita, conclude, sta “la vera felicità. Beati coloro che vanno per questa via”.
Nei saluti ai fedeli di lingua italiana, Francesco rinnova l’invito a “essere testimoni gioiosi di Cristo morto e risorto per noi” e a guardare a Gesù che con la sua vittoria sulla morte “ci aiuta ad accogliere le sofferenze e le prove della vita come preziosa occasione di redenzione e di salvezza”.
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