Nella Liturgia della Parola, attraverso il Vangelo e l’omelia, Dio dialoga con il suo popolo, il quale lo ascolta con attenzione e venerazione e, allo stesso tempo, lo riconosce presente e operante. Se, dunque, ci mettiamo in ascolto della “buona notizia”, da essa saremo convertiti e trasformati, pertanto capaci di cambiare noi stessi e il mondo. Sono le parole di Francesco al termine della catechesi di oggi in Aula Paolo VI.
LE PAROLE DI PAPA FRANCESCO
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Continuiamo con le catechesi sulla Santa Messa, siamo arrivati alle letture. Il dialogo tra Dio e il suo popolo, sviluppato nella Liturgia della Parola della Messa, raggiunge il culmine nella proclamazione del Vangelo. Lo precede il canto dell’Alleluia – oppure, in Quaresima, un’altra acclamazione – con cui «l’assemblea dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per parlare nel Vangelo».[1] Come i misteri di Cristo illuminano l’intera rivelazione biblica, così, nella Liturgia della Parola, il Vangelo costituisce la luce per comprendere il senso dei testi biblici che lo precedono, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento. In effetti, «di tutta la Scrittura, come di tutta la celebrazione liturgica, Cristo è il centro e la pienezza».[2]
Continuiamo con le catechesi sulla Santa Messa, siamo arrivati alle letture. Il dialogo tra Dio e il suo popolo, sviluppato nella Liturgia della Parola della Messa, raggiunge il culmine nella proclamazione del Vangelo. Lo precede il canto dell’Alleluia – oppure, in Quaresima, un’altra acclamazione – con cui «l’assemblea dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per parlare nel Vangelo».[1] Come i misteri di Cristo illuminano l’intera rivelazione biblica, così, nella Liturgia della Parola, il Vangelo costituisce la luce per comprendere il senso dei testi biblici che lo precedono, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento. In effetti, «di tutta la Scrittura, come di tutta la celebrazione liturgica, Cristo è il centro e la pienezza».[2]
Perciò la stessa liturgia distingue il Vangelo dalle altre letture e lo circonda di particolare onore e venerazione.[3] Infatti, la sua lettura è riservata al ministro ordinato, che termina baciando il libro; ci si pone in ascolto in piedi e si traccia un segno di croce in fronte, sulla bocca e sul petto; i ceri e l’incenso onorano Cristo che, mediante la lettura evangelica, fa risuonare la sua efficace parola. Da questi segni l’assemblea riconosce la presenza di Cristo che le rivolge la “buona notizia” che converte e trasforma. E’ un discorso diretto quello che avviene, come attestano le acclamazioni con cui si risponde alla proclamazione: «Gloria a te, o Signore» e «Lode a te, o Cristo». È Cristo che ci parla con il Vangelo e per questo noi stiamo attenti.
Dunque, nella Messa non leggiamo il Vangelo, attenti a questo punto, per sapere come sono andate le cose, ma per prendere coscienza che ciò che Gesù ha fatto e detto una volta, e quella parola è viva e arriva al mio cuore, per questo ascoltare il Vangelo con il cuore perto è tanto importante, perché è parola viva. Egli continua a compierlo e a dirlo adesso anche per noi. Scrive sant’Agostino che «la bocca di Cristo è il Vangelo. Lui regna in cielo, ma non cessa di parlare sulla terra».[4] Se è vero che nella liturgia «Cristo annunzia ancora il Vangelo»,[5] ne consegue che, partecipando alla Messa, dobbiamo dargli una risposta. Lo ascoltiamo e dobbiamo dare una risposta quindi.
Per far giungere il suo messaggio, Cristo si serve anche della parola del sacerdote che, dopo il Vangelo, tiene l’omelia.[6] Raccomandata vivamente dal Concilio Vaticano II come parte della stessa liturgia,[7] l’omelia non è un discorso di circostanza, neppure una catechesi come questa che sto facendo adesso io, né una conferenza o una lezione, ma «un riprendere quel dialogo che è già aperto tra il Signore e il suo popolo»,[8] affinché trovi compimento nella vita. L’esegesi autentica del Vangelo è la nostra vita santa! La parola del Signore termina la sua corsa facendosi carne in noi, traducendosi in opere, come è avvenuto in Maria e nei Santi. Ricordate quello che ho detto l’ultima volta, la parola del Signore entra dalle orecchie, va alle mani e si tramuta in azione arrivando nella mani.
Dunque, nella Messa non leggiamo il Vangelo, attenti a questo punto, per sapere come sono andate le cose, ma per prendere coscienza che ciò che Gesù ha fatto e detto una volta, e quella parola è viva e arriva al mio cuore, per questo ascoltare il Vangelo con il cuore perto è tanto importante, perché è parola viva. Egli continua a compierlo e a dirlo adesso anche per noi. Scrive sant’Agostino che «la bocca di Cristo è il Vangelo. Lui regna in cielo, ma non cessa di parlare sulla terra».[4] Se è vero che nella liturgia «Cristo annunzia ancora il Vangelo»,[5] ne consegue che, partecipando alla Messa, dobbiamo dargli una risposta. Lo ascoltiamo e dobbiamo dare una risposta quindi.
Per far giungere il suo messaggio, Cristo si serve anche della parola del sacerdote che, dopo il Vangelo, tiene l’omelia.[6] Raccomandata vivamente dal Concilio Vaticano II come parte della stessa liturgia,[7] l’omelia non è un discorso di circostanza, neppure una catechesi come questa che sto facendo adesso io, né una conferenza o una lezione, ma «un riprendere quel dialogo che è già aperto tra il Signore e il suo popolo»,[8] affinché trovi compimento nella vita. L’esegesi autentica del Vangelo è la nostra vita santa! La parola del Signore termina la sua corsa facendosi carne in noi, traducendosi in opere, come è avvenuto in Maria e nei Santi. Ricordate quello che ho detto l’ultima volta, la parola del Signore entra dalle orecchie, va alle mani e si tramuta in azione arrivando nella mani.
Ho già trattato l’argomento dell’omelia nell’Esortazione Evangelii gaudium, dove ricordavo che il contesto liturgico «esige che la predicazione orienti l’assemblea, e anche il predicatore, verso una comunione con Cristo nell’Eucaristia che trasformi la vita».[9]
Chi tiene l’omelia deve compiere bene il suo ministero, offrendo un reale servizio a tutti coloro che partecipano alla Messa, ma anche quanti l’ascoltano devono fare la loro parte. Anzitutto prestando debita attenzione, assumendo cioè le giuste disposizioni interiori, senza pretese soggettive, sapendo che ogni predicatore ha pregi e limiti. Se a volte c’è motivo di annoiarsi per l’omelia lunga o non centrata o incomprensibile, altre volte è invece il pregiudizio a fare da ostacolo. Chi fa l’omelia deve essere conscio che non sta facendo una cosa propria, sta predicando, dando voce a Gesù. L’omelia deve essere ben preparata, breve, mi diceva un sacerdote che andato in un’altra città dove abitavano i genitori il papa gli disse di essere contento perché aveva trovato una chiesa dove si faceva messa senza omelia. Quante volte capita che uno si distrae durante un’omelia, addirittura esce e ci si fuma una sigaretta. Bisogna quindi preparare una buona omelia, cari sacerdoti, con la preghiera, lo studio e la riflessione e non deve durare più di dieci minuti massimo.
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Concludendo possiamo dire che nella Liturgia della Parola, attraverso il Vangelo e l’omelia, Dio dialoga con il suo popolo, il quale lo ascolta con attenzione e venerazione e, allo stesso tempo, lo riconosce presente e operante. Se, dunque, ci mettiamo in ascolto della “buona notizia”, da essa saremo convertiti e trasformati, pertanto capaci di cambiare noi stessi e il mondo.
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[1] Ordinamento Generale del Messale Romano, 62.
[2] Introduzione al Lezionario, 5.
[3] Cfr Ordinamento Generale del Messale Romano, 60 e 134.
[4] Sermone 85, 1: PL 38, 520; cf. anche Trattato sul vangelo di Giovanni, XXX, I: PL 35, 1632; CCL 36, 289
[5] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 33.
[6] Cfr Ordinamento Generale del Messale Romano, 65-66; Introduzione al Lezionario, 24-27.
[7] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 52.
[8] Esort. ap. Evangelii gaudium, 137.
[9] Ibid., 138.