Padre Pedro María Ramírez Ramos e mons. Jesús Emilio Jaramillo sono i due sacerdoti che Papa Francesco beatificherà venerdì 8 settembre a Villavicencio. Essi sono il simbolo del sacrificio patito dalla Chiesa cattolica in Colombia nei lunghi decenni delle guerre civili tra il 1948 e oggi: padre Ramos fu ucciso nel 1948 nella città di Armero perché ritenuto un conservatore fanatico e pericoloso, nei giorni dello scoppio de “La Violencia” dopo l’assassinio del politico liberale candidato alla presidenza Jorge Eliecer Gaitán. Mons. Jaramillo fu invece rapito e ucciso dai miliziani della guerriglia marxista dell’Esercito di liberazione nazionale, ELN nel 1989.
I due sacerdoti, protagonisti di vicende diverse, incarnano le medesime sofferenze di quelle vittime a cui Francesco, con la sua visita, vuole portare il balsamo del conforto e della consolazione.
Questo stesso balsamo è stato di recente chiesto al Papa dalla comunità di Armerita de Ibagué (oggi Armero-Guayabal) per un’altra vittima, anch’essa a suo modo “martire” di un altra tragedia che ha colpito la Colombia. Si tratta della giovane Omayra Sánchez, morta pochi giorni dopo l’eruzione del vulcano Nevado del Ruiz e divenuta nota per il coraggio con cui ha affrontato il suo destino.
Il 13 novembre 1985 il vulcano Nevado del Ruiz, da circa 150 anni dormiente, eruttò con una violenza inaudita. Il materiale magmatico fuoriuscito si fuse alle tonnellate di neve che ricoprivano la cima della montagna e si generò così una colata di fango vulcanico che si incanalò nella valle sottostante, al cui sbocco sorgeva la città di Armero che venne investita dalla valanga. L’abitato fu completamente sepolto e in una delle case travolte dalla marea fangosa rimase intrappolata la tredicenne Omayra Sánchez, bloccata quasi interamente dalla massa di fango solidificato, con solo le braccia e la testa affioranti dalla melma e dall’acqua. Seguirono ore di disperati tentativi di soccorso; i volontari giunti sul luogo del disastro cercarono di estrarre la bambina dalla prigione che le si era chiusa intorno ma ogni sforzo risultò vano, tre giorni dopo Omayra morì di ipotermia.
La Colombia e il mondo intero assistettero impotenti alle operazioni di salvataggio, fotografi e cameramen ripresero e diffusero in tutto il globo il coraggio e la dignità con cui Omayra resistette in attesa di essere salvata. Le parole, lo sguardo e le preghiere che la bambina rivolse alle telecamere nelle ultime ore di agonia furono commoventi: mai come allora un evento simile, in tutta la sua tragica realtà, era stato trasmesso su scala internazionale.
Il governo del paese fu accusato di non essere intervenuto tempestivamente per portare i necessari soccorsi alla città di Armero e per non aver monitorato i segnali di un’imminente e fatale eruzione del Nevado del Ruiz.
Sono passati quasi 32 anni da quel giorno e ora sul sito dove sorgeva la città è stato eretto un memoriale della tragedia, con un piccolo mausoleo dedicato proprio a Omayra. Ora, in vista dell’arrivo di Papa Francesco in Colombia, la comunità di Armero-Guayabal ha chiesto che Omayra Sánchez, vittima-emblema di quella tragedia, possa essere beatificata in quanto martire non solo della sua città – le vittime dell’eruzione e della colata di fango lavica furono alla fine circa 25.000 – ma del paese intero. La speranza, secondo i media colombiani che hanno rilanciato pochi giorni fa la notizia, è che il Vaticano possa prendere in considerazione l’ipotesi di beatificare in futuro la piccola Omayra, che anche lei possa essere annoverata tra coloro che hanno donato la propria vita affinché la Colombia possa imparare dai propri errori e impegnarsi per dare al proprio popolo il miglior futuro possibile.
Fonte ilsismografo.blogspot.it/Francesco Gagliano)
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