Le vittime sperano che l’ingiustizia “non abbia l’ultima parola”. Così Papa Francesco si è rivolto agli oltre cento partecipanti, fra giudici e procuratori di diverse parti del mondo, riuniti presso la casina Pio IV, in Vaticano. Un Vertice importante, organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che vuole aiutare a contrastare la criminalità organizzata e le forme di schiavitù che ne derivano: dalla tratta di esseri umani allo sfruttamento della prostituzione. Tante le personalità di rilievo che vi prendono parte. Francesco chiede che si crei “un moto trasversale” che abbracci l’intera società e che “i giudici assumano piena consapevolezza di tale sfida”.
La Chiesa dà il suo contributo per combattere le nuove forme di schiavitù
La tratta delle persone, il narcotraffico, la prostituzione, il traffico di organi sono “veri e propri crimini contro l’umanità” e devono essere riconosciuti come tali e sanciti dalle leggi. Papa Francesco torna su temi a lui cari e si rivolge a giudici ed esperti, riuniti in Vaticano, sottolineando l’importanza di creare una rete fra loro e scambiare esperienze che possano permettere di combattere meglio queste nuove forme di schiavitù. “La Chiesa – afferma – è chiamata a impegnarsi per essere fedele alle persone, ancora di più se si considerano le situazioni dove si toccano le piaghe e le sofferenze più drammatiche”. In questo senso – ha sottolineato – la Chiesa non deve ascoltare quell’adagio che vuole che non si “immischi” nella politica:
“Ma la Chiesa deve immischiarsi nella ‘grande politica’! Perché – cito Paolo VI – la politica è una delle forme più alte dell’amore, della carità”.
La missione dei giudici: lottare contro i crimini liberi da pressioni
Francesco sottolinea l’insostituibile missione dei giudici nella società, in particolare di fronte alle sfide poste “dalla globalizzazione dell’indifferenza” e alla tendenza attuale a “liquefare” la figura del magistrato attraverso indebite pressioni:
“Farsi carico della propria vocazione significa anche sentirsi e proclamarsi liberi, procuratori e pubblici ministeri liberi: da cosa? Dalle pressioni dei governi, liberi dalle istituzioni private e, naturalmente, liberi dalle ‘strutture del peccato’ di cui parlava il mio predecessore San Giovanni Paolo II, in particolare – come strutture del peccato – liberi dalla criminalità organizzata. Io so che voi siete sottoposti a pressioni, sottoposti a minacce e tutto questo; e so anche che essere giudici oggi, essere procuratori e pubblici ministeri significa rischiare la propria vita!”.
Per Papa Francesco, questo merita un riconoscimento al coraggio di quelli che vogliono andare avanti rimanendo liberi nell’esercizio delle proprie funzioni giuridiche. Senza questa libertà, il potere giudiziario di una nazione si corrompe e genera corruzione. “Tutti noi – dice – conosciamo la caricatura di questi casi, no? La giustizia con gli occhi bendati: le cade la benda che le chiude la bocca…”.
Contro la schiavitù moderna serve un moto trasversale
Il Papa si dice lieto che l’Onu abbia approvato all’unanimità “i nuovi obbiettivi dello sviluppo sostenibile e integrale”, in particolare la risoluzione 8.7 che chiede, appunto, di adottare misure efficaci per eliminare le “forme moderne di schiavitù”: dalla tratta all’uso dei bambini soldato, fino al lavoro infantile entro il 2025. Centrale per Francesco è che si crei “un moto trasversale” e “ondoso”, che abbracci l’intera società, dalle periferie al centro e viceversa. Per questo i giudici devono assumere consapevolezza di questa sfida e condividere le esperienze. Nella figura del giudice, infatti, “si riconosce la giustizia come il primo attributo della società”:
“Chiedo ai giudici di realizzare la propria vocazione e missione essenziale, di stabilire la giustizia senza la quale non vi è ordine, né sviluppo sostenibile e integrale, né pace sociale”.
Papa Francesco chiede, in particolare, di guardarsi dal cadere nella rete della corruzione, che indebolisce governi e attività giudiziaria.
Fare giustizia è riabilitazione delle vittime e reinserimento dei colpevoli
In questo discorso di Papa Francesco contro la tratta e i modi per combattere questi crimini, c’è anche spazio per esaminare cosa significhi “fare giustizia”, che non è la pena in se stessa:
“Non c’è pena valida, senza speranza. Una pena chiusa in se stessa, che non dà possibilità alla speranza è una tortura: non è una pena! Su questo mi baso anche per affermare seriamente la posizione della Chiesa contro la pena di morte”.
Bisogna comminare pene che siano per la rieducazione dei responsabili e cercare il loro reinserimento nella società. Se questo vale per loro, “tanto più – afferma – vale per le vittime” che sono passive e non attive nell’esercizio della loro libertà, “essendo cadute nella trappola dei nuovi cacciatori di schiavi”:
“Vittime molte volte tradite nella parte più intima e sacra della persona, cioè nell’amore che esse aspirano a dare e a ricevere, e che le loro famiglie devono loro o che viene loro promesso da pretendenti o mariti, e che invece finiscono vendute sul mercato del lavoro forzato, della prostituzione o della vendita di organi”.
Le vittime, dunque, devono essere reintegrate nella società e si deve perseguire una lotta serrata ai trafficanti:
“Non vale il vecchio adagio: ‘Sono cose che esistono da che mondo è mondo’. Le vittime possono cambiare e di fatto sappiamo che cambiano vita con l’aiuto di buoni giudici, delle persone che le assistono e di tutta la società”.
Dare speranza perché l’ingiustizia non abbia l’ultima parola
La vittima deve trovare, poi, il coraggio di parlare “del suo essere vittima come di un passato che ha superato coraggiosamente”: ora è una persona con una dignità recuperata. “Voi siete chiamati a dare speranza”, dice ai giudici Papa Francesco. Le vittime, infatti, nutrono la speranza “che l’ingiustizia che attraversa questo mondo” non abbia “l’ultima parola”. Entrando, poi, nel concreto, Francesco chiede a giudici e procuratori di continuare la loro opera e rileva che può essere di giovamento applicare, secondo le modalità di ciascun Paese, “la prassi italiana di recuperare“ i beni dei criminali per offrirli per la riabilitazione delle vittime. “La riabilitazione delle vittime e il loro reinserimento nella società, sempre realmente possibile, dice Papa Francesco, è il bene maggiore che possiamo fare loro, alla comunità e alla pace sociale”. Certo, il lavoro non termina con la sentenza ma soltanto dopo, preoccupandosi che ci sia un accompagnamento, una crescita, un reinserimento, una riabilitazione della vittima e del carnefice.
Carceri dirette da donne
Sul tema del reinserimento, il Papa ha osservato, riportando una sua esperienza personale, che visitando le carceri ha notato come vadano meglio quelle che hanno una donna come direttore: “Questo non è femminismo” – ha spiegato – ma “la donna ha, riguardo al tema del reinserimento”, una sensibilità speciale.
Le Beatitudini
In conclusione, ai giudici Francesco ricorda le Beatitudini evangeliche quando si parla di “coloro che hanno fame e sete di giustizia” e “degli operatori di pace”:
“Essi o esse – e qui è il caso di riferirci in particolare ai giudici – avranno la ricompensa più grande: possederanno la terra, saranno chiamati e saranno figli di Dio, vedranno Dio, e gioiranno eternamente con il Padre”.
Il servizio è di Debora Donnini per la Radio Vaticana
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