In un’epoca in cui serpeggiano visioni distorte del cuore stesso del Vangelo è indispensabile un grande lavoro teologico, ha detto Francesco ai membri dell’Associazione teologica italiana.
Fare teologia “nello stupore” che ci porta “l’incontro con Cristo”, “in ginocchio” e “nella Chiesa, nel santo popolo di Dio” che ha “il fiuto della fede”. Papa Francesco lo sottolinea in Sala Clementina ricevendo in udienza l’Associazione teologica italiana, realtà che riunisce oltre 330 teologi e quest’anno ha compiuto mezzo secolo di vita, dopo la fondazione sulla scia del Concilio Vaticano II.
Parlando a braccio, ricorda una confessione con un’anziana portoghese:
Era così tanto credente. Io le ho fatto qualche domanda e lei rispondeva bene; e alla fine mi è venuta voglia di dirle: “Ma, mi dica, signora, lei ha studiato alla Gregoriana?”. Era proprio una donna semplice, semplice … Ma aveva il fiuto, aveva il sensus fidei, quello che nella fede non può sbagliare. Lo riprende il Vaticano II, questo.
Per essere autenticamente credenti, continua il Papa, “non è necessario aver svolto dei corsi accademici di teologia”.
C’è un senso delle realtà della fede che appartiene a tutto il popolo di Dio, anche di quanti non hanno particolari mezzi intellettuali per esprimerlo, e che chiede di essere intercettato e ascoltato; e ci sono persone anche molto semplici che sanno aguzzare gli “occhi della fede”. È in questa fede viva del santo popolo fedele di Dio che ogni teologo deve sentirsi immerso e da cui deve sapersi anche sostenuto, trasportato e abbracciato.
In una “Chiesa in uscita missionaria”, il ministero teologico – prosegue Francesco – risulta “particolarmente importante e urgente”. Una Chiesa “che si ripensa” infatti deve preoccuparsi, spiega il Pontefice, di rendere il “nucleo fondamentale” del Vangelo, cioè – come già enunciato nell’Evangelii gaudium – la “bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto”.
Un tale compito di essenzialità, nell’epoca della complessità e di uno sviluppo scientifico e tecnico senza precedenti e in una cultura che è stata permeata, nel passato, dal cristianesimo ma nella quale possono oggi serpeggiare visioni distorte del cuore stesso del Vangelo, rende infatti indispensabile un grande lavoro teologico. Perché la Chiesa possa continuare a fare udire il centro del Vangelo alle donne e agli uomini di oggi, perché il Vangelo raggiunga davvero le persone nella loro singolarità e affinché permei la società in tutte le sue dimensioni, è imprescindibile il compito della teologia, con il suo sforzo di ripensare i grandi temi della fede cristiana all’interno di una cultura profondamente mutata.
Per questo, aggiunge Francesco, c’è bisogno di una teologia che “aiuti tutti i cristiani” ad annunciare e mostrare “il volto salvifico di Dio, il Dio misericordioso, specie al cospetto di alcune inedite sfide che coinvolgono oggi l’umano”, la crisi ecologica, lo sviluppo delle neuroscienze o delle tecniche “che possono modificare l’uomo”, le “sempre più grandi disuguaglianze sociali” o le migrazioni “di interi popoli”, il “relativismo teorico” ma anche “pratico”. E c’è bisogno, per questo, di una teologia che “sia fatta da cristiane e cristiani che non pensino di parlare solo tra loro, ma sappiano di essere a servizio delle diverse Chiese e della Chiesa”, assumendosi anche “il compito di ripensare la Chiesa perché sia conforme al Vangelo che deve annunciare”.
L’esortazione è quindi a seguire il solco tracciato dal Vaticano II, da recepire “all’insegna di una ‘fedeltà creativa’”, facendo “teologia insieme” e non – sottolinea il Papa – in modo “individualistico, particolaristico o, peggio ancora, in una logica competitiva”:
Quella dei teologi non può che essere una ricerca personale; ma di persone che sono immerse in una comunità teologica la più ampia possibile, di cui si sentono e fanno realmente parte, coinvolte in legami di solidarietà e anche di amicizia autentica. Questo non è un aspetto accessorio del ministero teologico!
C’è dunque sempre la necessità di un lavoro teologico per mezzo del quale si può pervenire “a ciò che si crede in quanto viene compreso”.
E’ un’esigenza della piena umanità degli stessi credenti, anzitutto, perché il nostro credere sia pienamente umano e non sfugga alla sete di coscienza e di comprensione, la più profonda e ampia possibile, di ciò che crediamo. Ed è un’esigenza della comunicazione della fede, perché appaia sempre e dovunque che essa non solo non mutila ciò che è umano, ma si presenta sempre quale appello alla libertà delle persone.
di Giada Aquilino per Vaticannews.va
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Pochi altri se non SOLO FRANCESCO. riescono ad insegnarci il vero amore e il vero senso della FEDE!