«Siamo chiamati a impegnarci perché l’antisemitismo sia bandito dalla comunità umana»: è l’appello lanciato da Papa Francesco durante l’udienza a un gruppo di delegati del World Congress of Mountain Jews provenienti da diversi paesi del Caucaso.
Ricevendoli in udienza questo lunedì mattina, 5 novembre, nella Sala dei Papi, il Pontefice ha voluto ricordare gli anniversari di alcuni «tragici eventi» — il settantacinquesimo della distruzione del ghetto di Vilnius, in Lituania, e del rastrellamento di quello di Roma, e l’ottantesimo della “Kristallnacht” — per ribadire la necessità di «commemorare l’olocausto» affinché «del passato resti una memoria viva». Senza di essa, infatti, «non ci sarà futuro perché, se non impariamo dalle pagine più nere della storia a non ricadere nei medesimi errori, la dignità umana rimarrà lettera morta».
Ancora oggi, ha constatato Francesco, «purtroppo atteggiamenti antisemiti sono presenti». Anche per questo il Papa ha voluto riaffermare che «la libertà religiosa è un bene sommo da tutelare, un diritto umano fondamentale, baluardo contro le pretese totalitariste». E ha ricordato ancora una volta che «un cristiano non può essere antisemita», perché «le nostre radici sono comuni». Questo conferma «l’importanza dell’amicizia tra ebrei e cattolici», fondata «su una fraternità che si radica nella storia della salvezza» e «si concretizza nell’attenzione reciproca». Si tratta di «un dialogo — ha sottolineato — che in questo tempo siamo chiamati a promuovere e ad ampliare a livello interreligioso, per il bene dell’umanità».
Il giorno prima, all’Angelus recitato in piazza San Pietro, il Papa aveva espresso il suo dolore per l’attentato che ha colpito la comunità copta ortodossa in Egitto. «Prego per le vittime, pellegrini uccisi per il solo fatto di essere cristiani — aveva detto — e chiedo a Maria santissima di consolare le famiglie e l’intera comunità».
Cari amici,
do il mio caloroso benvenuto a tutti voi, delegati del World Congress of Mountain Jews, provenienti da diversi Paesi. È la prima volta che fratelli ebrei appartenenti alla vostra antica tradizione si recano insieme in visita al Papa, e anche per questo l’incontro odierno è motivo di gioia.
L’ultima volta che ho incontrato una comunità ebraica è stata in Lituania lo scorso 23 settembre. Era una giornata dedicata alla commemorazione della Shoah, settantacinque anni dopo la distruzione del ghetto di Vilnius e l’uccisione di migliaia di ebrei. Ho pregato davanti al monumento delle vittime dell’olocausto e ho chiesto all’Altissimo di consolare il suo popolo. Commemorare l’olocausto è necessario, perché del passato resti una
memoria viva. Senza una memoria viva non ci sarà futuro perché, se non impariamo dalle pagine più nere della storia a non ricadere nei medesimi errori, la dignità umana rimarrà lettera morta.Pensando alla Shoah, vorrei commemorare ancora due tragici eventi. Lo scorso 16 ottobre ricorreva un altro drammatico settantacinquesimo: quello del rastrellamento del ghetto di Roma. E tra pochi giorni, il 9 novembre, saranno ottant’anni dalla cosiddetta “Kristallnacht”, quando vennero distrutti molti luoghi di culto ebraici, anche con l’intento di sradicare ciò che nel cuore dell’uomo e di un popolo è assolutamente inviolabile: la presenza del Creatore. Quando si è voluto sostituire il Buon Dio con l’idolatria del potere e l’ideologia dell’odio, si è arrivati alla follia di sterminare le creature. Perciò la libertà religiosa è un bene sommo da tutelare, un diritto umano fondamentale, baluardo contro le pretese totalitariste.
Ancora oggi, purtroppo, atteggiamenti antisemiti sono presenti. Come più volte ho ricordato, un cristiano non può essere antisemita. Le nostre radici sono comuni. Sarebbe una contraddizione della fede e della vita. Insieme siamo invece chiamati a impegnarci perché l’antisemitismo sia bandito dalla comunità umana.
Ho sempre tenuto a sottolineare l’importanza dell’amicizia tra ebrei e cattolici. Essa, fondata su una fraternità che si radica nella storia della salvezza, si concretizza nell’attenzione reciproca. Con voi vorrei rendere grazie al Datore di ogni bene per il dono della nostra amicizia, impulso e motore del dialogo tra noi. È un dialogo che in questo tempo siamo chiamati a promuovere e ad ampliare a livello interreligioso, per il bene dell’umanità.
In proposito, mi piace ricordare con voi il bell’incontro interreligioso di due anni fa in Azerbaigian, dove notavo l’armonia che le religioni possono creare «a partire dai rapporti personali e dalla buona volontà dei responsabili». Ecco la via. «Dialogare con gli altri e pregare per tutti: questi sono i nostri mezzi per mutare le lance in falci (cfr. Is 2, 4), per far sorgere amore dove c’è odio e perdono dove c’è offesa, per non stancarci di implorare e percorrere vie di pace». Sì, perché oggi «non è tempo di soluzioni violente e brusche, ma l’ora urgente di intraprendere processi pazienti di riconciliazione» (2 ottobre 2016). È un compito fondamentale a cui siamo chiamati.
Chiedo all’Onnipotente di benedire il nostro cammino di amicizia e di fiducia, affinché viviamo sempre nella pace e, dovunque ci troviamo, possiamo essere artigiani e costruttori di pace. Shalom alechem!
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Osservatore Romano, 5/6 Novembre 2018
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