Se la Colombia vuole una pace stabile e duratura, deve compiere “urgentemente” un passo nella direzione “del bene comune, dell’equità, della giustizia, del rispetto della natura umana e delle sue esigenze”. Dopo aver benedetto durante il volo in elicottero la Virgen de la Bahía, che domina Cartagena dalle acque del Mar dei Caraibi, oggi circondata da innumerevoli barche a far da cornice alla statua, Papa Francesco celebra la Santa Messa nell’area portuale di Cartegena de Indias, accolto dai lavoratori del porto. Cinquecentomila i fedeli presenti al rito.
E, prima di lasciare la Colombia, sceglie di lanciare ancora un appello per “porre fine al narcotraffico”, che – spiega parlando ‘a braccio’ – semina “morte e distruzione, stroncando tante speranze e distruggendo tante famiglie”. La droga è un male – prosegue – che “colpisce direttamente la dignità della persona umana e spezza progressivamente l’immagine che il Creatore ha plasmato in noi”. Sono parole chiare quelle del Pontefice:“Condanno con fermezza – dice – coloro che hanno posto fine a tante vite”, l’azione di “uomini senza scrupoli”.
Esorta poi a “fare il primo passo” – come recita il motto di questo viaggio apostolico – andando “incontro agli altri con Cristo, il Signore”, rinunciando “alla pretesa di essere perdonati senza perdonare, di essere amati senza amare”: solo se aiutiamo a “sciogliere i nodi della violenza”, districheremo quella che il Pontefice definisce la “complessa matassa degli scontri”. Non c’è nessuno “talmente perduto” che non meriti sollecitudine, vicinanza e perdono: “un peccato commesso da uno, ci interpella tutti” ma coinvolge, in primis, “la vittima” che è chiamata a “prendere l’iniziativa” perché chi ha fatto del male “non si perda”. Prendere l’iniziativa, riflette, “è sempre più coraggioso”.
Nella città caraibica dove por oltre quarant’anni visse e operò San Pietro Claver, dedicandosi a difendere le vittime della tratta degli schiavi – le cui reliquie sono esposte durante la celebrazione assieme a quelle di Santa María Bernarda Bütler, che dedicò la sua vita a poveri ed emarginati – la Parola di Dio ci parla di perdono, correzione, comunità e preghiera.
La Colombia, nota, “da decenni sta cercando la pace” e “non è stato sufficiente che due parti si avvicinassero, dialogassero”: c’è stato bisogno – ricorda Francesco – “che si inserissero molti altri attori in questo dialogo riparatore dei peccati”.
“Non è sufficiente il disegno di quadri normativi e accordi istituzionali tra gruppi politici o economici di buona volontà”: come Gesù, la via è quella dell’incontro “personale” tra le parti
. Ed è sempre “prezioso” inserire nei processi di pace “l’esperienza di settori che, in molte occasioni, sono stati resi invisibili”. Il soggetto storico di tali processi, rimarca, sono “la gente e la sua cultura, non una classe, una frazione, un gruppo, un’élite”.Non dunque un progetto “di pochi indirizzato a pochi” o una minoranza “che si appropri di un sentimento collettivo”, bensì un accordo per vivere insieme. Le ferite “profonde” della storia esigono “istanze dove si faccia giustizia, dove sia possibile alle vittime conoscere la verità, il danno sia debitamente riparato e si agisca con chiarezza per evitare che si ripetano tali crimini”. In particolare, a noi è richiesto di generare “a partire dal basso” un cambiamento culturale: “alla cultura della morte, della violenza, rispondiamo con la cultura della vita, dell’incontro”.È proprio Cristo a chiederci di “confrontarci” con modelli e stili di vita “che fanno male” alla comunità: “quante volte si ‘normalizzano’ processi di violenza, esclusione sociale, senza che la nostra voce si alzi né le nostre mani accusino profeticamente”, si chiede Francesco. Il Papa riconosce che non si possa negare che ci siano persone che “persistono in peccati che feriscono la convivenza e la comunità”: anche la devastazione naturale, lo sfruttamento del lavoro, i traffici illeciti, la prostituzione, il traffico di esseri umani, la tragedia dei migranti e – sottolinea – persino una “asettica legalità pacifista che non tiene conto della carne del fratello”. Dobbiamo quindi essere “saldamente posizionati su principi di giustizia che non tolgano nulla alla carità”. Perché “non è possibile convivere in pace senza avere a che fare con ciò che corrompe la vita e attenta contro di essa”. Il pensiero del Pontefice va a “tutti coloro che, con coraggio e senza stancarsi, hanno lavorato e persino perso la vita nella difesa e protezione dei diritti della persona umana e della sua dignità”. È dunque il momento di “assumere un impegno definitivo in difesa dei diritti umani”, a Cartagena, luogo che i colombiani hanno scelto come sede nazionale della loro tutela.
Francesco invita dunque a levare una preghiera, “un unico grido”, per il “riscatto” di coloro che sono stati nell’errore, e “non per la loro distruzione”, per la giustizia e non per la vendetta, per la riparazione nella verità e non nella dimenticanza. Un primo passo in “una direzione comune”.
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di Giada Aquilino, inviata in Colombia per la Radio Vaticana
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