Per avere vocazioni, bisogna pregare, ascoltare i giovani e metterli in movimento. E’ quanto raccomanda Papa Francesco che ha consegnato il testo scritto e si è rivolto con un discorso a braccio ai circa 800 partecipanti al Convegno promosso dall’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Conferenza episcopale italiana. Francesco li ha ricevuti in udienza stamani in Aula Paolo VI, al termine del loro incontro di tre giorni sul tema: “Alzati, va’ e non temere. Vocazioni e Santità: io sono una missione”.
Il Papa traccia la strada per chi si occupa della pastorale vocazionale e indica, fondamentalmente, i binari su cui procedere: la preghiera, la porta aperta, l’ascolto, l’apostolato del camminare e la testimonianza. La questione delle vocazioni è un tema centrale. Lo sguardo è rivolto all’Assemblea sinodale del 2018 che avrà al centro proprio il tema: “Giovani, fede e discernimento vocazionale”.
Preghiera e porte aperte
Fondamentale è la preghiera, nota Francesco. Una preghiera che però sia con la porta aperta. Per avere vocazioni, è dunque necessaria l’accoglienza dei giovani. E per spiegare cosa significhi pregare ma con la porta aperta, Francesco fa riferimento alla prima parola del motto del Convegno della Cei, “Alzati”. Quando il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, ha ricordato appunto il tema dell’incontro, a Francesco è venuto in mente che “Alzati” è la stessa rivolta dall’Angelo a San Pietro quando si trovava in carcere. San Pietro viene liberato, va in una casa ma deve bussare alla porta più volte perché inizialmente le persone riunite lì in preghiera non credevano che fosse veramente lui. Così tanti giovani magari sentono quell’esortazione – “Alzati” – ma per paura si preferiscono chiudere le porte. Aprire le porte significa invece rischiare. Francesco ricorda infatti che ci sono diocesi ricche di vocazioni. Sono quelle dove i vescovi chiedono alle persone di pregare per le vocazioni:
“Ho saputo di alcune diocesi che sono state benedette da vocazioni, nel mondo: alcune. Parlando con i vescovi: ‘Ma, cosa avete fatto?’ Ma, prima di tutto, una lettera del vescovo, ogni mese, alle persone che volevano pregare per le vocazioni: le vecchiette, gli ammalati, gli sposi”.
Il primo compito dei vescovi è quindi la preghiera, il secondo l’annuncio del Vangelo. Senza il lievito della preghiera infatti si può fare l’organizzazione più perfetta ma non avrà forza. Il Papa fa, come sua abitudine, alcuni cenni concreti. Ad esempio, quando nelle parrocchie alcune volte viene scritto sulla porta che le confessioni sono da quell’ora a quell’ora. Il riferimento è in generale, a tutto il mondo, non ai parroci italiani che, anzi, Francesco torna a lodare: i parroci italiani sono bravi, sottolinea, basti pensare al volontariato e agli oratori, ai tanti parroci di campagna che servono diversi paesini.
L’apostolato dell’orecchio e del camminare
Se vogliamo vocazioni, sottolinea, porta aperta, preghiera e inchiodati alla sedia per sentire i giovani, ascoltarli più che parlare loro. Dire una parola che sarà un seme che lavorerà dentro. L’apostolato dell’orecchio. E’ quindi importante, ribadisce, “perdere tempo” con i giovani. E ancora l’apostolato del camminare, cioè far camminare i giovani accompagnandoli. E Francesco spiega come:
“Inventare azioni pastorali che coinvolgano i giovani, ma in qualcosa che faccia fare loro qualcosa. Nelle vacanze andiamo una settimana a ‘missionare’ quel popolo o a fare aiuto sociale a quell’altro o tutte le settimane andiamo in ospedale, questo, quello … o a dare da mangiare ai senzatetto nelle grandi città … I giovani hanno bisogno di questo”.
Bisogna dunque metterli in cammino, perché i giovani che hanno tutto assicurato sono giovani in pensione. Nei suoi viaggi sia italiani sia internazionali, Francesco di solito infatti incontra i ragazzi in una riunione o a pranzo e loro fanno domande, sono inquieti: ma l’inquietudine è una grazia di Dio e bisogna farla camminare, proporre cose da fare.
E’ la testimonianza che attira i giovani
E infine centrale è la testimonianza di sacerdoti e suore. La maggior parte delle volte infatti la chiamata consiste nel voler diventare come quella o quello. Non essere persone che cercano sicurezze, che chiudono le porte, che non hanno tempo ma persone in cui si possa vedere quello che predicano, esorta Francesco. E’ infatti la testimonianza che attira i giovani.
Fonte it.radiovaticana.va/Debora Donnini
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