Sarà facile oggi trovare su molti giornali il Bergoglio innovatore, il Bergoglio che invita a costruire ponti, che si avvicina e parla da amico a chi da sempre era considerato nemico, inavvicinabile, lontano. Invece il miracolo che solo un credente può cogliere è che questo papa – o meglio, lo Spirito Santo che opera in lui- innova davvero senza rinnegare il passato. Papa Bergoglio mette al centro della sua azione apostolica la Misericordia e ricorda in questo Giovanni Paolo II; parla della maternità e della tenerezza di Dio, e in questo ricorda papa Luciani; richiama il meglio della dottrina sociale della Chiesa laddove il lavoro è fonte di dignità e non solo di danaro, e ci porta alla Populorum progressio di Paolo VI; fa pensare, infine, a Giovanni XXIII per la sua volontà ecumenica; infine, per la sua grande fede nella preghiera, somiglia tanto a Benedetto XVI. Insomma si può dire per Francesco, più che per altri pontefici, che è capace di assommare in sé tanti papi. O meglio di voler tenere insieme le tre virtù teologali: se abbiamo iniziato con la misericordia – cioè la carità – e la speranza, ora è il tempo della fede pensata come stile di vita che si genera dalle prime due virtù e che con le prime due si relaziona e si coniuga.
Papa Francesco, checché ne dicano i suoi detrattori cattolici, riafferma fortemente l’identità cattolica, quella per cui un cattolico è riconosciuto nel mondo, ma non pensa all’identità cattolica asserragliandola in un sistema di pensiero chiuso: vede l’identità cattolica pensandola in relazione agli altri, cioè capace di offrire quello che ha e ricevendo dagli altri quello che gli altri le possono dare. In questo modo, per usare un linguaggio socio-economico, la fede cattolica “produce valore”: diventa collante di una certa idea di socialità, di una specifica idea di progresso della persona, produce qualità della vita non perché produce innanzitutto consumo ma perché genera legame sociale, rapporto, comunità. Basti pensare a cosa disse il segretario della Fiom Maurizio Landini lo scorso fine ottobre quando dichiarò che “la coalizione sociale la farà Papa Francesco”.
Potrei fare molti esempi di quanto ho cercato di sintetizzare in poche righe, ma mi soffermerò solo sulla sua scelta di vivere a Santa Marta. La genesi di quella decisione ha avuto versioni diversissime ma il fatto in sé dice una cosa sola ed è una cosa molto semplice: casa Santa Marta è una casa che ospita molte persone. Se abiti lì ceni col Papa, ti può capitare di incontrarlo in ascensore o in corridoio. Ma queste non solo le uniche conseguenze dell’abitare in quella casa. Essendo aperta, quell’abitazione include un’idea di dimora papale diversa dal passato: un’idea di dimora che non è solo quella di venire incontro ai bisogni di una singola persona ma di aprirsi a costruire una comunità. È davvero quanto sta avvenendo a casa Santa Marta. D’altra parte è ovvio: se il Papa scoraggia cardinali, vescovi, monsignori, dal vivere in appartamenti di lusso, o anche dal vivere in appartamenti che siano a proprio esclusivo uso e consumo è chiaro che, indirettamente, spinge a scegliere una soluzione come quella da lui prediletta: che, se non è proprio quella di casa Santa Marta, è qualcosa che le va molto vicino. Gli anni passati sono quattro ma sembrano quaranta. E questo non perché si elimini il passato ma perché si fa della storia una memoria nutriente per la vita di oggi; e della speranza un passo in avanti e non “una fuga in avanti”.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da IlSussidiario.net
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