«In tempi nei quali sembrano ritornare mentalità che ci invitano a diffidare degli altri, che con statistiche ci vogliono dimostrare che staremmo meglio, avremmo più prosperità, ci sarebbe più sicurezza se fossimo soli, Maria e i discepoli di queste terre ci invitano ad accogliere, a scommettere di nuovo sul fratello, sulla fraternità universale».
È ancora un invito all’accoglienza, a non chiudersi, a non isolarsi quello che Francesco lancia nell’ultimo appuntamento della sua terza giornata nei Paesi baltici. Dopo aver trascorso la mattinata a Riga,il Papa si è recato in elicottero ad Aglona, un centro con meno di mille abitanti a sud del Paese.
Debora Donnini – Città del Vaticano
Uno dei momenti centrali dell’odierna tappa in Lettonia di Papa Francesco è la Messa celebrata nel pomeriggio nell’area del Santuario della Madre di Dio di Aglona, una piccola cittadina nota proprio grazie alla presenza di questa Basilica, fondata nel 1700 dai frati domenicani e alla quale Giovanni Paolo II ha assegnato il titolo di “Basilica minor”. Un Santuario nel quale si venera l’icona della Madre di Dio di Aglona. Centro nevralgico della devozione alla Vergine in un Paese che ha conosciuto sia l’oppressione nazista che quella comunista, tornando ad essere indipendente nel 1991.
Proprio a Maria è dedicata tutta l’omelia del Papa. Maria che sta “saldamente in piedi”, “inchiodata ai piedi della croce”, accanto a suo Figlio, come è vicina a coloro dai quali il mondo fugge, anche a “quelli che sono processati, condannati da tutti, deportati”. Una vicinanza che non è per una breve visita o per un “turismo solidale”. Per questo occorre che “coloro che patiscono una realtà di dolore ci sentano al loro fianco”, in modo che “tutti gli scartati della società possono fare esperienza di questa Madre delicatamente vicina, perché in chi soffre permangono le piaghe aperte del suo Figlio Gesù”.
Maria si mostra anche come donna aperta al perdono, che rinuncia a recriminare. Francesco nota infatti che “nelle nostre realtà politiche, la storia dello scontro tra i popoli è ancora dolorosamente fresca” ma – sottolinea – le relazioni che ci guariscono sono quelle che ci aprono alla fraternità con gli altri. In questo senso il Papa richiama una figura centrale della Chiesa lettone, quella di monsignor Boleslavs Sloskans, che visse dal 1927 al 1933 nei gulag sovietici, condannato con una falsa accusa di spionaggio. Il Papa ricorda le toccanti parole del vescovo lettone scritte ai suoi genitori: “Vi chiedo dal profondo del mio cuore: non lasciate che la vendetta o l’esasperazione si facciano strada nel vostro cuore. Se lo permettessimo, non saremmo veri cristiani ma fanatici”.
In tempi nei quali sembrano ritornare mentalità che ci invitano a diffidare degli altri, che con statistiche ci vogliono dimostrare che staremmo meglio, avremmo più prosperità, ci sarebbe più sicurezza se fossimo soli, Maria e i discepoli di queste terre ci invitano ad accogliere, a scommettere di nuovo sul fratello, sulla fraternità universale.
Esiste però il rischio di stare accanto a qualcuno, senza coinvolgersi: può accadere fra coniugi, fra giovani e adulti, o anche agli anziani quando si sentono freddamente accuditi.
Quando con fede ascoltiamo il comando di accogliere e di essere accolti, è possibile costruire l’unità nella diversità, perché non ci frenano né ci dividono le differenze, ma siamo capaci di guardare oltre, di vedere gli altri nella loro dignità più profonda, come figli di uno stesso Padre.
E proprio Maria – conclude il Papa – alza la sua voce affinché “in questo suo Santuario, tutti ci impegniamo ad accoglierci senza discriminazioni, e che tutti in Lettonia sappiano che siamo disposti a privilegiare i più poveri, a rialzare quanti sono caduti e ad accogliere gli altri così come arrivano e si presentano davanti a noi”.
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