Adriana Masotti – Città del Vaticano
Vicinanza e vigilanza, sono le due parole chiave per il tempo di Avvento. Ci vengono suggerite dalle Letture di oggi tratte dal Libro del profeta Isaia e dal Vangelo di Marco. Sono le due parole attorno a cui ruota l’omelia di Papa Francesco che stamattina celebra nella Basilica di San Pietro con i cardinali creati durante il Concistoro di ieri. Ma come vigilare?
“L’Avvento è il tempo in cui fare memoria della vicinanza di Dio, che è sceso verso di noi”, afferma il Papa, ma il profeta Isaia ci suggerisce di chiedere a Dio di avvicinarsi ancora di più invocando: ‘Se tu squarciassi i cieli e scendessi!’. “Il primo passo della fede – osserva – è dire al Signore che abbiamo bisogno di Lui, della sua vicinanza”.
È anche il primo messaggio dell’Avvento e dell’Anno liturgico, riconoscere Dio vicino e dirgli: “Avvicinati ancora!”. Egli vuole venire vicino a noi, ma si propone, non si impone; sta a noi non stancarci di dirgli: “Vieni!”. Gesù – ci ricorda l’Avvento – è venuto tra noi e verrà di nuovo alla fine dei tempi. Ma, ci chiediamo, a che cosa servono queste venute se non viene oggi nella nostra vita? Invitiamolo.
“Vieni, Signore Gesù” è un’invocazione che possiamo dire all’inizio del giorno e ripetere spesso, afferma Francesco, “prima degli incontri, dello studio, del lavoro e delle decisioni da prendere, nei momenti importanti e in quelli di prova. E’ una piccola preghiera, ma nasce dal cuore”. Se chiediamo a Gesù di starci vicino dobbiamo essere però anche vigilanti per accorgersi della sua presenza. “Uno sbaglio della vita è perdersi in mille cose e non accorgersi di Dio”, sottolinea Papa Francesco, presi dai nostri interessi “rischiamo di smarrire l’essenziale”. Dobbiamo vegliare mentre siamo nella notte. E Francesco prosegue:
Il giorno arriverà quando saremo con il Signore. Arriverà, non perdiamoci d’animo: la notte passerà, sorgerà il Signore, ci giudicherà Lui che è morto in croce per noi. Vigilare è attendere questo, è non lasciarsi sopraffare dallo scoraggiamento, è vivere nella speranza. Come prima di nascere siamo stati attesi da chi ci amava, ora siamo attesi dall’Amore in persona. E se siamo attesi in Cielo, perché vivere di pretese terrene? Perché affannarci per un po’ di soldi, di fama, di successo, tutte cose che passano? Perché perdere tempo a lamentarci della notte, mentre ci aspetta la luce del giorno? Perché cercare dei “padrini” per avere una promozione e andare su e promuoverci nella carriera? Tutto passa. Vegliate, dice il Signore.
Il Papa ricorda che i discepoli di Gesù non riuscirono a rimanere svegli accanto a Gesù, durante l’ultima cena, nel giardino del Getsemani, al canto del gallo. Un torpore che, afferma il Papa, può scendere anche su di noi e lo definisce: il sonno della mediocrità:
Viene quando dimentichiamo il primo amore e andiamo avanti per inerzia, badando solo al quieto vivere. Ma senza slanci d’amore per Dio, senza attendere la sua novità, si diventa mediocri, tiepidi, mondani. E questo corrode la fede, perché la fede è il contrario della mediocrità: è desiderio ardente di Dio, è audacia continua di convertirsi, è coraggio di amare, è andare sempre avanti.
Il Papa avverte: “la fede non è acqua che spegne, è fuoco che brucia”, Gesù non sopporta la tiepidezza. “Si vede il disprezzo di Dio per i tiepidi”, afferma. E’ dunque necessario scuotersi da questo sonno e lo possiamo fare vigilando nella preghiera. Perché “pregare è accendere una luce nella notte”, è sintonizzarsi con il Signore.
La preghiera permette a Dio di starci vicino; perciò libera dalla solitudine e dà speranza. La preghiera ossigena la vita: come non si può vivere senza respirare, così non si può essere cristiani senza pregare. E c’è tanto bisogno di cristiani che veglino per chi dorme, di adoratori, di intercessori, che giorno e notte portino davanti a Gesù, luce del mondo, le tenebre della storia.
Ma c’è un altro pericolo: accanto al sonno della tiepidezza c’è quello dell’indifferenza. E’ il sonno di chi non s’interessa agli altri, ma è centrato solo su se stesso. E il Papa osserva:
Quando orbitiamo solo attorno a noi stessi e ai nostri bisogni, indifferenti a quelli degli altri, la notte scende nel cuore. Il cuore diventa oscuro. Presto si comincia a lamentarsi di tutto, poi ci si sente vittime di tutti e infine si fanno complotti su tutto. Lamentele, senso di vittima e complotti. E’ una catena, lo stesso. Oggi questa notte sembra calata su tanti, che reclamano per sé e si disinteressano degli altri.Oggi questa notte sembra calata su tanti, che reclamano per sé e si disinteressano degli altri.
Antidoto al sonno dell’indifferenza è la vigilanza della carità, “non si può essere cristiani senza carità”, afferma il Papa:
A qualcuno sembra che provare compassione, aiutare, servire sia cosa da perdenti! In realtà è l’unica cosa vincente, perché è già proiettata al futuro, al giorno del Signore, quando tutto passerà e rimarrà solo l’amore. È con le opere di misericordia che ci avviciniamo al Signore.
Sono le opere di carità la strada per andare incontro a Gesù. “Quando la Chiesa adora Dio e serve il prossimo, non vive nella notte”, dice ancora Papa Francesco e conclude: “Vieni, Signore Gesù, facci sentire il desiderio di pregare e il bisogno di amare”.
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