Adriana Masotti – Città del Vaticano per Vaticannews.va
E’ Giovedì Santo, il giorno in cui Gesù dona ai suoi il comandamento dell’amore reciproco, il ministero del sacerdozio, se stesso nell’Eucaristia, e la liturgia di questo giorno fa memoria di questi doni. La Messa crismale presieduta alle 9.30 nella Basilica vaticana da Papa Francesco è un inno allo Spirito Santo. E’ infatti su di Lui che il Papa vuol riflettere insieme ai tanti sacerdoti che in questa occasione rinnovano la loro promessa. Perchè “senza lo Spirito del Signore – afferma – non c’è vita cristiana e, senza la sua unzione, non c’è santità”. Lui è all’origine del ministero e della vita di ogni Pastore.
Senza di Lui neppure la Chiesa sarebbe la Sposa vivente di Cristo, ma al più un’organizzazione religiosa; non il Corpo di Cristo, ma un tempio costruito da mani d’uomo. Come edificare allora la Chiesa, se non a partire dal fatto che siamo “templi dello Spirito Santo” che “abita in noi” ? Non possiamo lasciarlo fuori casa o parcheggiarlo in qualche zona devozionale. Abbiamo bisogno ogni giorno di dire: “Vieni, perché senza la tua forza nulla è nell’uomo” .
Come lo Spirito Santo consacrò con la sua unzione Gesù che, all’inizio della sua predicazione, disse: “Lo Spirito del Signore Dio è sopra di me”, così ogni cristiano e in particolare ogni sacerdote è unto dallo Spirito. Francesco ricorda la chiamata degli Apostoli su cui Cristo ha riversato lo Spirito, descrive l’impatto della chiamata di Gesu: erano pescatori e lasciano tutto, le barche, le reti, la casa. “L’unzione della Parola cambiò la loro vita”. Cominciano a seguire il Maestro con grande entusiasmo finché arriva la Pasqua. E lì tutto cambia fino ad arrivare a rinnegare Gesù. Il Papa prosegue:
Fecero i conti con la loro inadeguatezza e compresero di non averlo capito: il “non conosco quest’uomo”, che Pietro scandì nel cortile del sommo sacerdote dopo l’ultima Cena, non è solo una difesa impulsiva, ma un’ammissione di ignoranza spirituale: lui e gli altri forse si aspettavano una vita di successi dietro a un Messia trascinatore di folle e operatore di prodigi, ma non riconoscevano lo scandalo della croce, che sbriciolò le loro certezze.
E’ lo Spirito Santo che viene in soccorso degli Apostoli, scende ancora su di loro a Pentecoste ed è quella “seconda unzione” a trasformare i discepoli, a cancellare le loro paure, a far loro desiderare di dare la vita per il gregge di Dio, ad uscire per annunciare il Vangelo in tutto il mondo.
Fratelli, un simile itinerario abbraccia la nostra vita sacerdotale e apostolica. Anche per noi c’è stata una prima unzione, cominciata con una chiamata d’amore che ci ha rapito il cuore. Per essa abbiamo lasciato gli ormeggi e su quell’entusiasmo genuino è scesa la forza dello Spirito, che ci ha consacrato. Poi, secondo i tempi di Dio, giunge per ciascuno la tappa pasquale, che segna il momento della verità.
Il Papa si sofferma a lungo nella sua omelia al momento della crisi che in varie forme può segnare ogni sacerdote come segnò gli Apostoli, dice che “prima o poi, succede di sperimentare delusioni, fatiche e debolezze”, mentre alcune prove “fanno apparire la fedeltà più scomoda rispetto a un tempo”. E’ un momento cruciale che può avere esiti diversi.
Si può uscirne male, planando verso una certa mediocrità, trascinandosi stanchi in una “normalità” dove si insinuano tre tentazioni pericolose: quella del compromesso, per cui ci si accontenta di ciò che si può fare; quella dei surrogati, per cui si tenta di “ricaricarsi” con altro rispetto alla nostra unzione; quella dello scoraggiamento, per cui, scontenti, si va avanti per inerzia. Ed ecco il grande rischio: mentre restano intatte le apparenze, ci si ripiega su di sé e si tira a campare svogliati; la fragranza dell’unzione non profuma più la vita e il cuore non si dilata ma si restringe, avvolto nel disincanto.
Ma la crisi può essere un momento di svolta, di una scelta più consapevole “tra Gesù e il mondo, tra l’eroicità della carità e la mediocrità”, il momento in cui può avere inizio un nuovo cammino, quello della fede e di un amore privo di illusioni. E a braccio cita un testo che propone alla lettura dei sacerdoti il cui titolo è: La seconda chiamata, e il cui autore è il padre René Voillaume. Lo consiglia a tutti, dice, “perchè fa una bella esegesi della vocazione di Pietro, l’ultima, a Tiberiade: il Pietro della seconda chiamata”. Parla della necessità, ad un cero punto della vita sacerdotale, di una trasformazione, “perché se tu continui così, senza maturare, fare un passo avanti in questa crisi, finirai male”. E sul momento della crisi afferma ancora:
È il “chairos” in cui scoprire che “il tutto non si riduce ad abbandonare la barca e le reti per seguire Gesù durante un certo tempo, ma richiede di andare sino al Calvario, di accoglierne la lezione e il frutto, e di andare con l’aiuto dello Spirito Santo sino alla fine di una vita che deve terminare nella perfezione della divina Carità”. Con l’aiuto dello Spirito Santo: è il tempo, per noi come per gli Apostoli, di una “seconda unzione”, dove accogliere lo Spirito non sull’entusiasmo dei nostri sogni, ma sulla fragilità della nostra realtà.
Francesco propone alcune domande che provocano un profondo esame di coscienza come quando invita i sacerdoti a chiedersi se la propria realizzazione “dipende dalla mia bravura, dal ruolo che ottengo, dai complimenti che ricevo, dalla carriera che faccio”, oppure se la propria vita “profuma” dell’unzione dello Spirito. Per intraprendere questo passo di maturazione è necessario, dice il Papa, partire dal riconoscimento della propria debolezza:
Fratelli, la maturità sacerdotale passa dallo Spirito Santo, si compie quando Lui diventa il protagonista della nostra vita. Allora tutto cambia prospettiva, anche le delusioni e le amarezze, perché non si tratta più di cercare di stare meglio aggiustando qualcosa, ma di consegnarci, senza trattenere nulla, a Chi ci ha impregnati della sua unzione e vuole scendere in noi fino in fondo.
Il Papa sintetizza in una frase il senso di questo rinnovamento della vita sacerdotale quando non si vuole cucire su di sè delle toppe, ma ci si lascia guidare dallo Spirito. Afferma: “il nostro sacerdozio non cresce per rammendo, ma per traboccamento”. E mette in guardia dalla tentazione del compromesso tra falsità e luce cedendo alla mediocrità:
È vero, ogni doppiezza che si insinua è pericolosa: non va tollerata, ma portata alla luce dello Spirito. Perché se “niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce”, lo Spirito Santo, Lui solo, ci guarisce dalle infedeltà. È per noi una lotta irrinunciabile: è infatti indispensabile, come scrisse San Gregorio Magno, che “chi annuncia la parola di Dio, prima si dedichi al proprio modo di vivere, perché poi, attingendo dalla propria vita, impari cosa e come dirlo.[…] Nessuno presuma di dire fuori ciò che prima non ha ascoltato dentro” .
C’è un secondo aspetto che Papa Francesco vuol sottolineare dopo quello dell’unzione ed è la parola armonia che, dice, ne è la conseguenza. “Lo Spirito Santo, infatti, è armonia”, in Cielo, ma anche in terra. Nella Chiesa, afferma, “suscita la diversità dei carismi e la ricompone in unità, crea una concordia che non si fonda sull’omologazione, ma sulla creatività della carità”. “E’ il noi del Padre e del Figlio, perché è il loro nesso, è in sé stesso concordia, comunione, armonia”. Creare armonia è il compito di chi lo Spirito ha consacrato, anzi, sottolinea il Papa, creare armonia “è un’esigenza interna alla vita dello Spirito”. Francesco avverte:
Si pecca contro lo Spirito che è comunione quando si diventa, anche per leggerezza, strumenti di divisione; e si fa il gioco del nemico, che non viene allo scoperto e ama le dicerie e le insinuazioni, fomenta partiti e cordate, alimenta la nostalgia del passato, la sfiducia, il pessimismo, la paura. Stiamo attenti, per favore, a non sporcare l’unzione dello Spirito e la veste della Madre Chiesa con la disunione, con le polarizzazioni, con ogni mancanza di carità e di comunione. Ricordiamo che lo Spirito, “il noi di Dio”, predilige la forma comunitaria: la disponibilità rispetto alle proprie esigenze, l’obbedienza rispetto ai propri gusti, l’umiltà rispetto alle proprie pretese. (…) Penso anche alla gentilezza del sacerdote: se la gente trova persino in noi persone insoddisfatte e scontente che criticano e puntano il dito, dove vedrà l’armonia? Quanti non si avvicinano o si allontanano perché nella Chiesa non si sentono accolti e amati, ma guardati con sospetto e giudicati!
Papa Francesco conclude con parole di gratitudine e di riconoscimento nei riguardi dei sacerdoti. Li ringrazia per la loro testimonianza, per il bene compiuto in modo spesso nascosto, “per il perdono e la consolazione che regalate in nome di Dio”. E invoca su di loro lo Spirito perchè li sostenga e li faccia “profeti della sua unzione e apostoli di armonia”.
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