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Papa Francesco, Messa della notte di Natale: con il cuore a Betlemme, dove Gesù è rifiutato dalla logica della guerra

Nella basilica vaticana, Francesco presiede la Santa Messa della notte di Natale. Il suo pensiero va alla terra dove Dio si è fatto carne e dove “il ruggire delle armi anche oggi gli impedisce di trovare alloggio nel mondo”. Invita ad adorare il Principe della Pace che “non sovverte le ingiustizie dall’alto con forza, ma dal basso con amore; non irrompe con un potere senza limiti, ma si cala nei nostri limiti; non evita le nostre fragilità, ma le assume”

Antonella Palermo – Città del Vaticano

L’Incarnazione non è mossa da un’ansia di prestazione da parte di un Dio rigido e controllore, ma dalla volontà di un Padre giusto che viene ad abitare le nostre ingiustizie. È il cuore dell’omelia di Papa Francesco che presiede la Messa solenne nella notte di Natale concelebrata nella basilica vaticana da quasi 250 tra cardinali, vescovi e diaconi. Una liturgia attraversata, fin dall’atto penitenziale, dal pensiero della guerra: “provati dalle tenebre del peccato e dagli orrori della guerra, chiediamo al Padre il dono dello Spirito, artefice di consolazione e di gioia, affinché rinnovi la faccia della terra”.

Il Re della storia sceglie la piccolezza

È tutta una invocazione di pace e giustizia la celebrazione eucaristica di questa notte. La Liturgia della Parola è intrisa di questi rimandi avvertiti oggi con un’urgenza particolarmente intensa: dal Libro del profeta Isaia, al canto del Salmo 95, alla Lettera di san Paolo a Tito. E poi il brano evangelico del secondo capitolo di Luca che spiega il contesto della nascita di Gesù. Il potere di Dio e il potere del mondo. Il confronto tra queste due forme di autorità è ciò su cui si sofferma il Pontefice nell’omelia:

Mentre l’imperatore conta gli abitanti del mondo, Dio vi entra quasi di nascosto; mentre chi comanda cerca di assurgere tra i grandi della storia, il Re della storia sceglie la via della piccolezza. Nessuno dei potenti si accorge di Lui, solo alcuni pastori, relegati ai margini della vita sociale.

Francesco presiede la Santa Messa della notte di Natale

Dio entra debole nel mondo

Nell’Antico Testamento, si ricorda, si apprende che il ‘censimento’ era stata una pratica rivelatoria di “una malsana pretesa di autosufficienza”: al Re Davide, infatti, permise di conoscere il numero di quanti potevano armarsi. Una operazione che scatenò l’ira del Signore.

In questa notte, invece, il “Figlio di Davide”, Gesù, dopo nove mesi nel grembo di Maria, nasce a Betlemme, la città di Davide, e non punisce il censimento, ma si lascia umilmente conteggiare. Non vediamo un dio adirato che castiga, ma il Dio misericordioso che si incarna, che entra debole nel mondo.

Il ruggire delle armi impedisce a Gesù di trovare casa

La logica del mondo, sottolinea Francesco, ricerca “il potere e la potenza, la fama e la gloria, dove tutto si misura coi successi e i risultati, con le cifre e con i numeri”. È un meccanismo vizioso che il Papa definisce “l’ossessione della ‘prestazione'”, nella quale è invischiato chi infiamma la terra con il fuoco dei conflitti:

Il nostro cuore stasera è a Betlemme, dove ancora il Principe della pace viene rifiutato dalla logica perdente della guerra, con il ruggire delle armi che anche oggi gli impedisce di trovare alloggio nel mondo.

Dio dell’incarnazione o Dio della prestazione?

Il Papa mette in guardia dal rischio di vivere il Natale avendo in testa un’idea pagana di Dio. È quella che rimanda alla figura di un “padrone potente che sta in cielo, un dio che si sposa con il potere, con il successo mondano e con l’idolatria del consumismo”. Il dio “distaccato e permaloso, che si comporta bene coi buoni e si adira coi cattivi”, è frutto delle proiezioni degli uomini, è “utile solo a risolverci i problemi e a toglierci i mali”, precisa Bergoglio.

Lui, invece, non usa la bacchetta magica, non è il dio commerciale del “tutto e subito”; non ci salva premendo un bottone, ma si fa vicino per cambiare la realtà dal di dentro. Eppure, quanto è radicata in noi l’idea mondana di un dio distante e controllore, rigido e potente, che aiuta i suoi a prevalere contro altri! Ma non è così: Lui è nato per tutti, durante il censimento di tutta la terra.

Gli “affetti sdolcinati” e la “tenerezza” di Dio

Francesco prosegue la sua omelia mettendo a fuoco i tratti del Dio che siamo chiamati ad adorare con il Natale: tenerezza, compassione e misericordia. Tratti ben diversi, aggiunge, da quello che troppo spesso travolgono il clima delle festività: “un miscuglio di affetti sdolcinati e di conforti mondani”:

Guardiamo dunque al «Dio vivo e vero» (1 Ts 1,9): a Lui, che sta al di là di ogni calcolo umano eppure si lascia censire dai nostri conteggi; a Lui, che rivoluziona la storia abitandola; a Lui, che ci rispetta al punto da permetterci di rifiutarlo; a Lui, che cancella il peccato facendosene carico, che non toglie il dolore ma lo trasforma, che non ci leva i problemi dalla vita, ma dà alle nostre vite una speranza più grande dei problemi. Desidera così tanto abbracciare le nostre esistenze che, infinito, per noi si fa finito; grande, si fa piccolo.

Abbandonare ogni tristezza

Il Papa rimarca che Dio non considera gli uomini e le donne un numero, pur avendo Egli stesso voluto sottoporsi al censimento. A Dio interessa il volto di ciascuno, non il numero che rappresenta. Ed è quindi interessato a trovare un cuore aperto, capace di sentirsi amato e di abbandonare le proprie malinconie. Francesco si rivolge a chi ascolta con un “tu”:

[…] Forse vivi male questo Natale, pensando di non andare bene, covando un senso di inadeguatezza e di insoddisfazione per le tue fragilità, per le tue cadute e i tuoi problemi. Ma oggi, per favore, lascia l’iniziativa a Gesù, che ti dice: “Per te mi sono fatto carne, per te mi sono fatto come te”. Perché rimani nella prigione delle tue tristezze?

Adorazione non è perdere tempo

“Stanotte l’amore cambia la storia”, afferma infine il Papa, invitando a porsi in adorazione autentica della Natività, al di là di ogni tentazione che ci porterebbe ad essere invece troppo indaffarati e indifferenti.

Riscopriamo l’adorazione, perché adorare non è perdere tempo, ma permettere a Dio di abitare il nostro tempo. È far fiorire in noi il seme dell’incarnazione, è collaborare all’opera del Signore, che come lievito cambia il mondo. È intercedere, riparare, consentire a Dio di raddrizzare la storia.

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