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Papa Francesco, Messa per i defunti: la speranza dopo la morte, àncora che dà un senso alla vita

Nell’omelia della Messa per la commemorazione dei fedeli defunti, nella Chiesa del camposanto teutonico in Vaticano, Francesco fa sue le parole di Giobbe e ricorda che la certezza cristiana della vita nell’Aldilà è un “dono gratuito” di Dio che dobbiamo chiedere

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano per www.vaticannews.va

Nei momenti di gioia e in quelli brutti, nella prova, quando anche la morte si avvicina, “ripetiamo come Giobbe: io so che il mio Redentore è vivo, e lo vedrò con i miei occhi”. Questa è la speranza cristiana, un dono che solo il Signore può darci, se glielo chiediamo. Oggi, “nel pensiero di tanti fratelli e sorelle che se ne sono andati, ci farà bene guardare e guardare su”, ripetendo le parole di Giobbe. E’ il cuore dell’omelia di Papa Francesco, pronunciata a braccio nel corso della Messa per i fedeli defunti, celebrata oggi pomeriggio nella chiesa del Pontificio collegio teutonico di Santa Maria in Camposanto, prima di pregare davanti alle tombe del cimitero vaticano e poi nelle Grotte vaticane, davanti alle tombe dei Pontefici defunti.

papa francesco
Papa Francesco, 02 novembre 2020, Messa per i defunti

Il Papa commenta il brano della Prima Lettura della liturgia di oggi, tratto dal Libro del profeta Giobbe, che “sconfitto, anzi, finito nella sua esistenza, dalla malattia, con la pelle strappata via quasi, al punto di morire”, ha comunque una certezza e la dice: “Io so che il mio Redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere”. Giobbe, spiega Francesco, “è più giù, giù, giù”, ma in quel momento “c’è quell’abbraccio di luce e calore che lo rassicura: “Vedrò il Redentore con questi occhi”, “i miei occhi lo contempleranno, e non un altro”.

Questa certezza, quasi nel momento della fine della vita, sottolinea il Pontefice, “è la speranza cristiana”. Una speranza che è un dono: “Noi non possiamo averla”, ma dobbiamo chiederla: “Signore, dammi la speranza”. Ci sono tante cose brutte, prosegue Papa Francesco,”che ci portano a disperare, a credere che tutto sarà una sconfitta finale, che dopo la morte non ci sia nulla”. Ma la voce di Giobbe ritorna.

La speranza non delude, ci ha detto Paolo. La speranza ci attira e ci dà un senso alla vita. Io non vedo l’Aldilà. Ma la speranza è il dono di Dio che ci attira verso la vita, verso la gioia eterna. La speranza è un’ancora che noi abbiamo dall’altra parte: noi, aggrappati alla corda, ci sosteniamo. Io so che il mio Redentore è vivo e io lo vedrò. E questo, ripeterlo nei momenti di gioia e nei momenti brutti, nei momenti di morte – diciamo così.

La speranza, aggiunge Francesco, “è un dono gratuito che noi non meritiamo mai: è dato, è donato. E’ grazia”. E nel brano del Vangelo di Giovanni, Gesù conferma “questa speranza che non delude: ‘Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me’. Questo è il fine della speranza: andare da Gesù”. “E colui che viene a me, io non lo caccerò fuori”. Il Signore, conclude il Pontefice, è Lui “che ci riceve là, dove c’è l’ancora. La vita in speranza è vivere così: aggrappati, con la corda in mano, forte, sapendo che l’ancora è laggiù”. E non delude.

Oggi, nel pensiero di tanti fratelli e sorelle che se ne sono andati, ci farà bene guardare i cimiteri e guardare su e ripetere, come Giobbe: “Io so che il mio Redentore vive e io lo vedrò, io stesso; i miei occhi lo contempleranno, e non un altro”. E questa è la forza che ci dà la speranza, questo dono gratuito che è la virtù della speranza. Che il Signore ce la dia a tutti noi.

Nel suo saluto, all’inizio della celebrazione, il rettore del collegio teutonico, monsignor Hans-Peter Fischer, sottolinea che i partecipanti alla celebrazione nella piccola chiesa sono “in comunione con tutti coloro che ci hanno preceduto e che qui dormono il sonno della pace, i nostri santi vicini della porta accanto che ci ricordano ogni giorno che ‘bevuto’ il tempo della vita, si vive ancora”. Al Papa il rettore ricorda che nel collegio, i sacerdoti ospiti, studiosi dell’archeologia cristiana e di storia della Chiesa, vengono “da culture e popoli diversi”.

Noi tutti, spiega, “parliamo lingue diverse”, le differenze sono molte, ma nulla “ci ha impedito che potessimo incontrarci ed essere felici di stare insieme”, perché “sappiamo che Qualcuno ci fa fratelli e sorelle”. Nell’esprimere la gioia e la gratitudine per la presenza del Pontefice, “pellegrino tra i pellegrini”, monsignor Fisher esprime la volontà di tutti i presenti di “entrare in sintonia con il suo cuore e il suo insegnamento, accogliendo il grande dono della sua tenerezza di padre e amico”.

Nelle preghiere dei fedeli, l’assemblea si rivolge al Signore per il Papa, perché “il Suo istinto, lo Spirito Santo” e l’amore del popolo cristiano, “continuino a sostenerlo e guidarlo” nella “sua opera di purificazione della Chiesa”. Per i migranti, “perché con le loro vite lacerate, in fuga da guerre, catastrofi naturali e persecuzioni siano accolti, protetti, promossi ed integrati perché da tutti si può imparare qualcosa e nessuno è inutile”. E poi per tutti noi, “perché il dolore, l’incertezza, il timore e la consapevolezza dei propri limiti” portati dalla pandemia, ci portino “a ripensare i nostri stili di vita, le nostre relazioni, l’organizzazione delle nostre società e soprattutto il senso della nostra esistenza”.

Infine per il popolo di Dio, perché “sperimenti una Chiesa più umana e vicina, comunità di stile familiare che abita le fatiche delle persone e delle famiglie, perché sia una presenza che sappia unire insieme l’amore alla verità all’amore ad ogni uomo”, e per tutti i defunti, “per i morti senza volto, senza voce e senza nome, perché Dio Padre li accolga nell’eterna pace, dove non ci sono più né ansia né dolore”.

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