Si è appena concluso il viaggio apostolico di Papa Francesco in Caucaso, che lo ha visto in Georgia ed Azerbaigian. Un viaggio alla ‘periferia’ dove i cattolici sono una minoranza. Per un bilancio su questo nuovo impegno pastorale del Pontefice, Roberto Piermarini della Radio Vaticana ha raccolto il commento di padre Andrea Majewski, direttore dei programmi della Radio Vaticana al seguito del Papa
R. – Nel caso dei viaggi dei Papi, mi sembra molto difficile dire se il viaggio sia riuscito o no E questo perché, prima di tutto, ci vuole del tempo per una tale valutazione. Di solito, poi, il Papa non va in viaggio per risolvere questo o quel problema, per sistemare una cosa o l’altra. In diverse occasioni Papa Francesco ha ribadito che la cosa più importante non è solo fare una cosa o l’altra, ma iniziare certi processi che possono trovare la loro continuità. Il viaggio del Papa in Caucaso, lo vedrei proprio così. Si tratta, prima di tutto, di rafforzare un processo di dialogo e di collaborazione più stretta con le antiche Chiese, antichissime Chiese, che sono presenti in queste terre. Si tratta anche di piccoli passi, ma passi molto concreti. Se guardiamo – ad esempio – al fatto che ancora 15 anni fa non sarebbe stato possibile per i fedeli ortodossi georgiani partecipare ad una Messa cattolica e che ora una tale partecipazione oggi non sia stata espressamente proibita: questo è uno di questi passi concreti all’interno di un processo d’apertura. Veramente abbiamo le ragioni per pensare che queste cose siano irreversibili.
D. – Padre Majewski, qual è stato il messaggio che ha lasciato il Papa ai cattolici che vivono in minoranza in questi due Paesi?
R. – Per le comunità cattoliche sia il viaggio del Papa in Armenia, sia questo appena terminato in Georgia ed Azerbaijan sono stati davvero “una boccata d’aria”. Vivendo quotidianamente in un ambiente diverso culturalmente, con la venuta del Papa i cattolici certamente si sentono rafforzati, motivati e anche umanamente apprezzati. Una semplice parola del Papa rivolta a Baku alla fine della Messa – “Go ahead!”, “Avanti!”, “Coraggio!” – questo non ha prezzo! Durante il suo ultimo viaggio il Papa ha parlato spesso di “un piccolo gregge” e faceva allusione anche agli inizi della Chiesa. Essere solo un “piccolo gregge” ha anche dei suoi vantaggi. Salutando il Papa, in Georgia, l’amministratore apostolico, mons. Giuseppe Pasotto, ha detto che essendo le comunità minoritarie, loro si sentono più liberi, perché non hanno molte cose da perdere; possono veramente vivere in semplicità non cadendo nella trappola dell’orgoglio. E’ una ricchezza per tutta la Chiesa che – grazie anche al viaggio del Papa – è stata certamente messa in risalto.
D. – Il Papa si è recato in due piccoli Paesi, poco visibili nel contesto mondiale. Ancora una predilezione del Papa per le periferie?
R. – Il Papa è molto coerente con il suo programma che ha presentato all’inizio del Pontificato. Le cosiddette “periferie” sono per lui davvero importanti, perché – come lui stesso afferma spesso – “dalle periferie si vede meglio che dal centro”. Il Papa va, dunque, nelle cosiddette “periferie”, dove la Chiesa è appena visibile, per vedere meglio tutta la Chiesa. Mi ha toccato molto ciò che Papa Francesco ha detto ieri sul volo di ritorno; parlando della Georgia e del suo incontro con il Patriarca ha detto: “Ho incontrato un uomo di Dio”. Penso che chissà, forse questa semplice parola del Papa valga più dei tanti discorsi che sono stati pronunciati… Quanti altri sconosciuti “uomini di Dio” il Papa potrà incontrare – per esempio – in India, in Bangladesh, dove pensa di recarsi l’anno prossimo? Dal Centro, che è sempre soggetto alla tentazione di sapere tutto e di vedere tutto, è difficile vedere e apprezzare tutto ciò. Per questo il Papa ama recarsi nelle periferie
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Un video servizio del Centro Televisivo Vaticano sul viaggio di Papa Francesco
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fonte: Radio Vaticana
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