Adriana Masotti – Città del Vaticano per Vaticannews.va
Quarantaquattro gli arcivescovi metropoliti nominati nel corso dell’anno, molti sono presenti oggi in basilica. Il rosso porpora delle loro vesti colora i primi due settori davanti all’Altare della Cattedra. All’inizio della celebrazione eucaristica, presieduta da Papa Francesco, il cardinale James Michael Harvey li presenta al Papa che, dopo la formula di giuramento recitata da ciascun metropolita, benedice i Palli. Sono un paramento liturgico costituito da una striscia di stoffa di lana bianca con delle croci nere. Rappresentano la pecora che il pastore porta sulle sue spalle come Cristo e sono simbolo del compito pastorale affidato agli arcivescovi metropoliti. Inizia quindi la Liturgia della Parola. Nelle prime due letture rivive la testimonianza degli apostoli Pietro e Paolo. Quella tratta dagli Atti degli Apostoli racconta dell’apostolo Pietro gettato in carcere da re Erode e della sua liberazione per opera di un angelo che svegliandolo lo esorta “Alzati in fretta”. Nell’altra, è l’apostolo Paolo a parlare della sua esperienza: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”.
Il Papa invita a guardare a questi due aspetti – alzarsi in fretta e combattere la buona battaglia – per chiedersi “che cosa hanno da suggerire alla comunità cristiana di oggi, mentre è in corso il processo sinodale”. L’atto di alzarsi in fretta ricorda la mattina di Pasqua, afferma, significa risorgere, “uscire fuori verso la luce” e dice che questa ” è un’immagine significativa per la Chiesa”, perché anche noi dobbiamo alzarci per seguire il Signore dove lui vorrà. E non è sempre facile, le resistenze sono tante:
A volte, come Chiesa, siamo sopraffatti dalla pigrizia e preferiamo restare seduti a contemplare le poche cose sicure che possediamo, invece di alzarci per gettare lo sguardo verso orizzonti nuovi, verso il mare aperto. Siamo spesso incatenati come Pietro nella prigione dell’abitudine, spaventati dai cambiamenti e legati alla catena delle nostre consuetudini. Ma così si scivola nella mediocrità spirituale, si corre il rischio di “tirare a campare” anche nella vita pastorale, si affievolisce l’entusiasmo della missione e, invece di essere segno di vitalità e di creatività, si finisce per dare un’impressione di tiepidezza e di inerzia.
Papa Francesco cita padre de Lubac che vedeva il pericolo di ridurre “la grande corrente di novità e di vita che è il Vangelo” in una fede che “cade nel formalismo e nell’abitudine”. Il Sinodo, afferma Francesco, ci chiama a diventare invece una Chiesa che si alza in piedi, che non si ripiega su se stessa per andare incontro al mondo.
Una Chiesa senza catene e senza muri, in cui ciascuno possa sentirsi accolto e accompagnato, in cui si coltivino l’arte dell’ascolto, del dialogo, della partecipazione, sotto l’unica autorità dello Spirito Santo. Una Chiesa libera e umile, che “si alza in fretta”, che non temporeggia, non accumula ritardi sulle sfide dell’oggi, non si attarda nei recinti sacri, ma si lascia animare dalla passione per l’annuncio del Vangelo e dal desiderio di raggiungere tutti e accogliere tutti. Non dimentichiamo questa parola: tutti.
Papa Francesco insiste su questa parola “tutti”, la ripete più volte e a braccio aggiunge:
Andate all’incrocio delle strade e portate tutti, ciechi sordi zoppi ammalati giusti peccatori: tutti, tutti! Questa parola del Signore deve risuonare, risuonare nella mente e nel cuore: tutti, nella Chiesa c’è posto per tutti. E tante volte noi diventiamo una Chiesa dalle porte aperte ma per congedare gente, per condannare gente. Ieri uno di voi mi diceva: “Per la Chiesa questo non è il tempo dei congedi, è il tempo dell’accoglienza”. Non sono venuti al banchetto, andate all’incrocio. Tutti, tutti! “Ma sono peccatori…”. Tutti!
L’apostolo Paolo non si è risparmiato nell’annunciare il Vangelo e ha conosciuto persecuzioni e sofferenze. “Ora, alla fine della vita – afferma il Papa -, vede che nella storia è ancora in corso una grande “battaglia”, perché molti non sono disposti ad accogliere Gesù”. Proseguire la sua opera, il suo “combattimento” tocca ora ai fratelli della comunità. Ciascuno di noi, sottolinea Francesco, è chiamato ad essere missionario e “a offrire il proprio contributo”:
E qui mi vengono in mente due domande. La prima è: cosa posso fare io per la Chiesa? Non lamentarsi della Chiesa, ma impegnarsi per la Chiesa. Partecipare con passione e umiltà: con passione, perché non dobbiamo restare spettatori passivi; con umiltà, perché impegnarsi nella comunità non deve mai significare occupare il centro della scena, sentirsi migliori e impedire ad altri di avvicinarsi. Chiesa sinodale significa: tutti partecipano, nessuno al posto degli altri o al di sopra degli altri. Non ci sono cristiani di prima e di seconda classe, tutti, tutti sono chiamati.
Papa Francesco osserva che l’annuncio del Vangelo ” non è neutrale, non è acqua distillata”, “non lascia le cose come stanno”, al contrario, “accende il fuoco del Regno di Dio laddove invece regnano i meccanismi umani del potere, del male, della violenza, della corruzione, dell’ingiustizia, dell’emarginazione”. La seconda domanda proposta dal Papa allora è: “cosa possiamo fare insieme, come Chiesa, per rendere il mondo in cui viviamo più umano, più giusto, più solidale, più aperto a Dio e alla fraternità tra gli uomini?”. Dobbiamo essere lievito nella pasta del mondo, è la risposta di Francesco:
Insieme possiamo e dobbiamo porre gesti di cura per la vita umana, per la tutela del creato, per la dignità del lavoro, per i problemi delle famiglie, per la condizione degli anziani e di quanti sono abbandonati, rifiutati e disprezzati. Insomma, essere una Chiesa che promuove la cultura della cura, della carezza, la compassione verso i deboli e la lotta contro ogni forma di degrado, anche quel degrado delle nostre città e dei luoghi che frequentiamo, perché risplenda nella vita di ciascuno la gioia del Vangelo: questa è la nostra “buona battaglia”, questa è la sfida.
L’omelia si avvia alla conclusione, Francesco ricorda che poco prima ha benedetto, secondo la tradizione, i Palli per gli arcivescovi metropoliti di recente nomina, che dovranno essere “sentinelle vigilanti del gregge” per “combattere la buona battaglia”, insieme però a tutto il popolo di Dio. Poi saluta e ringrazia la delegazione del Patriarcato Ecumenico, inviata insieme ad un messaggio “dal caro fratello Bartolomeo”. “Camminiamo insieme – conclude il Papa – perché solo insieme possiamo essere seme di Vangelo e testimoni di fraternità”.
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