Celebrando la Messa Vespertina della vigilia di Pentecoste, Francesco spiega come con lo Spirito Santo il Signore ci prenda per mano e ci faccia udire il gemito di chi ha bisogno di salvezza, soprattutto a Roma. Poi prega affinché la Chiesa segua strade che vengano dallo Spirito e non puramente funzionalistiche
Giada Aquilino – Città del Vaticano
Di fronte alle nostre “costruzioni” che si “illudono” di toccare il cielo, solo lo Spirito Santo che “irrompe” nel mondo dal “grembo” di Dio “fa nuove tutte le cose”: lasciamoci “prendere per mano” dallo Spirito per farci portare “in mezzo al cuore della città”, Roma e quelle del “creato intero”, “per ascoltarne il grido, il gemito”, le sofferenze e i sogni. Questa la riflessione di Papa Francesco nell’omelia della Santa Messa Vespertina nella vigilia di Pentecoste, celebrata sul Sagrato della Basilica Vaticana, dove si sono raccolte 50 mila persone: i fedeli della diocesi di Roma, i partecipanti alla Conferenza internazionale dei Carismatici, ricevuti in mattinata dal Pontefice, e i membri di tante realtà ecclesiali
Oggi, “come in ogni tempo”, nota il Papa riferendosi alla Prima Lettura dal libro della Genesi, c’è chi cerca di costruire “una città e una torre che arrivi fino al cielo”.
Sono i progetti umani, anche i nostri progetti, fatti al servizio di un “io” sempre più grande, verso un cielo dove non c’è più spazio per Dio. Dio ci lascia fare per un po’, in modo da farci sperimentare fino a che punto di male e di tristezza siamo capaci di arrivare senza di Lui… Ma lo Spirito del Cristo, Signore della storia, non vede l’ora di buttare all’aria tutto, per farci ricominciare!
Francesco osserva come “siamo sempre un po’ ‘stretti’ di sguardo e di cuore”.
Lasciati a noi stessi finiamo per perdere l’orizzonte; arriviamo a convincerci di aver compreso tutto, di aver preso in considerazione tutte le variabili, di aver previsto cosa accadrà e come accadrà… Sono tutte costruzioni nostre che si illudono di toccare il cielo. Invece lo Spirito irrompe nel mondo dall’Alto, dal grembo di Dio, lì dove il Figlio è stato generato, e fa nuove tutte le cose.
Alla vigilia dell’ultimo giorno del tempo di Pasqua, festa di Pentecoste, Francesco ricorda che si celebra “il primato dello Spirito” che – spiega – ci fa “ammutolire” di fronte all’“imprevedibilità del piano di Dio” e poi “trasalire di gioia”: si tratta di un “cammino di Chiesa”, fino all’arrivo alla “terra promessa”, “la città-Gerusalemme dalle porte sempre aperte per tutti, dove – ricorda il Papa – le varie lingue dell’uomo si compongono nell’armonia dello Spirito”. Francesco esorta quindi a tenere a mente le “doglie del parto”:
Comprendiamo che il nostro gemito, quello del popolo che abita in questa città e il gemito del creato intero non sono altro che il gemito stesso dello Spirito: è il parto del mondo nuovo. Dio è il Padre e la madre, Dio è la levatrice, Dio è il gemito, Dio è il Figlio generato nel mondo e noi, Chiesa, siamo al servizio di questo parto, non al servizio di noi stessi, non al servizio delle nostre ambizioni, di tanti sogni di potere: no. Al servizio di questo che Dio fa, di queste meraviglie, meraviglie che Dio fa.
Francesco vede come un “pericolo” la voglia di confondere le novità dello Spirito “con un metodo di ‘risistematizzare’ tutto”: lo Spirito di Dio – evidenzia – sconvolge tutto e ci fa incominciare non da capo, ma da un nuovo cammino”. Sotto il grido della gente, dice, non c’è altro che un “gemito autentico” dello Spirito Santo.
Lasciamoci allora prendere per mano dallo Spirito e portare in mezzo al cuore della città per ascoltarne il grido, il gemito.
Il Papa, richiamando la Seconda Lettura dal libro dell’Esodo, ricorda che Dio ha voluto che Mosè scendesse con Lui “in mezzo” agli Israeliti.
Il cuore di Mosè deve diventare come quello di Dio, attento e sensibile alle sofferenze e ai sogni degli uomini, a quello che gridano di nascosto quando alzano le mani verso il Cielo, perché non hanno più appigli sulla terra. È il gemito dello Spirito, e Mosè deve ascoltare non con l’udito: con il cuore. Oggi chiede a noi, cristiani, di imparare ad ascoltare con il cuore. E il Maestro di questo ascolto è lo Spirito. Aprire il cuore perché Lui ci insegni ad ascoltare con il cuore. Aprirlo.
Gesù, prosegue il Pontefice citando il Vangelo di Giovanni, “è in mezzo a noi”: “dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”. È “il fiume d’acqua viva” dello Spirito Santo che scaturisce dal grembo di Gesù e che “lava e feconda la Chiesa, mistica sposa rappresentata da Maria, nuova Eva, ai piedi della croce”. È dunque lo Spirito Santo che “sgorga dal grembo di misericordia di Gesù Risorto” che, aggiunge Francesco, “ci trasforma in Chiesa-grembo di misericordia, cioè in una ‘madre dal cuore aperto’ per tutti”!
Quanto vorrei che la gente che abita a Roma riconoscesse la Chiesa, ci riconoscesse per questo di più di misericordia, non per altre cose, per questo di più di umanità e di tenerezza, di cui c’è tanto bisogno! Si sentirebbe come a casa, la “casa materna” dove si è sempre benvenuti e dove si può sempre ritornare. Si sentirebbe sempre accolta, ascoltata, ben interpretata, aiutata a fare un passo avanti nella direzione del regno di Dio… Come sa fare una madre, anche con i figli diventati ormai grandi.
Pensando alla “maternità” della Chiesa il Papa ricorda che 75 anni fa, l’11 giugno del 1944, Papa Pio XII compì uno “speciale atto di ringraziamento e di supplica alla Vergine”, per la protezione della città di Roma. Lo fece nella chiesa di Sant’Ignazio, dove era stata portata la venerata immagine della Madonna del Divino Amore.
L’Amore Divino è lo Spirito Santo, che scaturisce dal Cuore di Cristo. È Lui la “roccia spirituale” che accompagna il popolo di Dio nel deserto, perché attingendone l’acqua viva possa dissetarsi lungo il cammino. Nel roveto che non si consuma, immagine di Maria Vergine e Madre, c’è il Cristo Risorto che ci parla, ci comunica il fuoco dello Spirito Santo, ci invita a scendere in mezzo al popolo per ascoltare il grido, ci invia per aprire il varco a cammini di libertà che portano a terre promesse da Dio.
Non a caso, al termine della celebrazione, i numerosi fedeli radunati in Piazza San Pietro si spostano in processione fino a Piazza di Porta Capena con l’icona della Madonna del Divino Amore, per poi proseguire con il pellegrinaggio notturno fino al Santuario di Castel di Leva. Prima della conclusione, l’invito del Papa a metterci in ascolto del “grido” della città di Roma.
Abbiamo bisogno che il Signore ci prenda per mano e ci faccia “scendere” in mezzo ai fratelli che abitano nella nostra città, per ascoltare il loro bisogno di salvezza, il grido che arriva fino a Lui e che noi abitualmente non udiamo.
Non si tratta, aggiunge, di spiegare “cose intellettuali, ideologiche”.
A me fa piangere quando vedo una Chiesa che crede di essere fedele al Signore, di aggiornarsi quando cerca strade puramente funzionalistiche, strade che non vengono dallo Spirito di Dio.
È una Chiesa che “non sa scendere” e, se non si scende, “non sarà lo Spirito che comanda”: è necessario invece “aprire occhi e orecchie, ma soprattutto – ribadisce – il cuore, ascoltare con il cuore”.
Allora ci metteremo in cammino davvero. Allora sentiremo dentro di noi il fuoco della Pentecoste, che ci spinge a gridare agli uomini e alle donne di questa città che è finita la loro schiavitù e che è Cristo la via che porta alla città del Cielo. Per questo ci vuole la fede, fratelli e sorelle: chiediamo oggi il dono della fede per andare su questa strada.
Una schiavitù finita perché, prega alla fine della Messa il cardinale Angelo De Donatis , vicario generale del Papa per la diocesi di Roma, davanti ai fedeli riuniti in Piazza San Pietro e al sindaco della capitale italiana Virginia Raggi, ci sia una città dove “nessuno si senta straniero”.
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