Francesco nella comunità fondata da don Zeno Saltini, che «di fronte alle sofferenze di bambini orfani o segnati dal disagio, comprese che l’unico linguaggio che capivano era l’amore»
«Sono venuto qui tra voi nel ricordo di don Zeno e per esprimere il mio incoraggiamento alla vostra comunità da lui fondata». Papa Francesco saluta così i nomadelfi, i membri della comunità di Nomadelfia, nella sua visita di oggi, 10 maggio 2018, nella “Cittadella del Vangelo” creata da Saltini negli anni ‘30, riconosciuta ufficialmente nel 1948.
Presieduta da Francesco Matterazzo, Nomadelfia (neologismo dal greco che significa «dove la fraternità è legge») è la comunità di cattolici – oggi circa 300 – che vivono adottando uno stile ispirato agli Atti degli Apostoli. Per la Chiesa, è una parrocchia – istituita da Papa San Giovanni XXIII nel 1962 – formata da famiglie e laici non sposati, nata nella diocesi di Carpi; per la Repubblica italiana è un’associazione privata di cittadini. Oggi è nel territorio di Grosseto. È formata dai nomadelfi, che sono solo coloro che, compiuti i 21 anni, scelgono di aderire al modello di vita della «Chiesa delle origini». In Nomadelfia non si usa denaro, e chi guadagna qualcosa fuori dalla comunità lo versa a questa. La Comunità dà a ciascuno i beni di cui necessita. Le famiglie accolgono bambini e ragazzi in affido. Nel 1941 si presentò Irene Bertoni: sarebbe diventata la prima «mamma di vocazione». Dopo di lei ecco altre donne pronte a rinunciare a una propria famiglia per accogliere come figli bimbi e ragazzini orfani.
Al suo arrivo – con l’elicottero – nel campo sportivo di Nomadelfia lo attendono monsignor Rodolfo Cetoloni, vescovo di Grosseto, don Ferdinando Neri, successore di don Zeno, e Francesco Matterazzo. Raggiunge in auto il cimitero. All’ingresso il Vescovo di Roma, dopo aver ascoltato la registrazione di un brano del testamento di don Zeno Saltini (1900 – 1981), si raccoglie in preghiera sulla sua tomba e vi depone una pietra con il proprio nome, che si aggiunge alle pietre lasciate dagli abitanti di Nomadelfia. Poi si trasferisce al “Poggetto”, dove incontra il nucleo familiare, visita la casa centrale e la cappellina all’interno della quale affida a due famiglie due figli accolti con la formula in uso nella Comunità.
Al termine, va nella “Sala Don Zeno” per l’incontro con la comunità di Nomadelfia. Il presidente saluta il Papa ricordando che «settant’anni fa nell’ex campo di concentramento di Fossoli, è nato un popolo nuovo, un popolo! Perché nessuno si salva da solo, ma insieme ci si incammina per una santità sociale». Poi riprende un pensiero di don Zeno, che «ha osato percorrere sentieri nuovi, fidandosi sempre della Provvidenza. Per il grande amore al popolo e alla Chiesa che era solito dire “mi scorre nel sangue”, subì tante prove e si chiedeva: “Che cosa è un sacerdote? Certo non può essere un vigliacco. Avevo un modesto patrimonio paterno e l’ho dato tutto; avevo una carriera nel mondo e l’ho buttata, avevo un prestigio familiare e l’ho buttato; ho accolto come figli i più rovinati nel popolo per insegnare con la mia dedizione ad essere fratelli l’uno per l’altro secondo la Preghiera a l’Ultima Cena, quindi cambiando rotta nel costume dei cattolici; avevo insegnato al popolo che la Giustizia è legge di tutti e l’avevo fatto nel Nome della Chiesa”».
Dopo un momento di festa con recitazione, canti e danze, Papa Francesco afferma che Nomadelfia è una realtà «profetica che si propone di realizzare una nuova civiltà». Don Zeno «sapeva che, quando arriva la stagione adatta, è il tempo di mettere mano all’aratro e preparare il terreno per la semina. Gli era rimasta impressa la frase di Gesù: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio”».
Il Papa ricorda che «la Legge della fraternità, che caratterizza la vostra vita, è stato il sogno e l’obiettivo di tutta l’esistenza di Don Zeno, che desiderava una comunità di vita ispirata al modello delineato negli Atti degli Apostoli: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti avevano un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune”».
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Papa Francesco esorta i membri della Comunità a continuare «questo stile di vita, confidando nella forza del Vangelo e dello Spirito Santo, mediante la vostra limpida testimonianza cristiana». Sottolinea che «di fronte alle sofferenze di bambini orfani o segnati dal disagio, Don Zeno comprese che l’unico linguaggio che essi comprendevano era quello dell’amore. Pertanto, seppe individuare una peculiare forma di società dove non c’è spazio per l’isolamento o la solitudine, ma vige il principio della collaborazione tra diverse famiglie, dove i membri si riconoscono fratelli nella fede».
Così a Nomadelfia «si stabiliscono legami ben più solidi di quelli della parentela». Viene attuata una «consanguineità con Gesù». Questo speciale «vincolo è manifestato anche dai rapporti reciproci tra le persone: tutti si chiamano per nome, mai con il cognome». Il Pontefice evidenzia anche un altro «segno profetico: si tratta dell’attenzione amorevole verso gli anziani».
Il Pontefice ribadisce l’invito a proseguire «su questa strada, incarnando il modello dell’amore fraterno, anche mediante opere e segni visibili, nei molteplici contesti dove la carità evangelica vi chiama, ma sempre conservando lo spirito di Don Zeno che voleva una Nomadelfia “leggera” ed essenziale nelle sue strutture».
A Nomadelfia, «di fronte a un mondo talvolta ostile agli ideali predicati da Cristo, non esitate a rispondere con la testimonianza gioiosa e serena della vostra vita, ispirata al Vangelo».
Al termine, dopo lo scambio dei doni, il Papa decolla per Loppiano, in provincia di Firenze e nella diocesi di Fiesole, dove visita la “Cittadella Internazionale” del Movimento dei Focolari.
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di Domenico Agasso Jr per Vatican Insider