Non aver paura di “condividere” la speranza. Questa l’esortazione di Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro, proseguendo il ciclo delle catechesi sulla speranza cristiana e soffermandosi in particolare sui “nemici” di essa, perché – “come ogni bene in questo mondo” – li ha. Il Pontefice guarda “i volti di tanta gente” nella storia, come “contadini, poveri operai, migranti in cerca di un futuro migliore” che hanno lottato e lottano “tenacemente nonostante l’amarezza di un oggi difficile”, con la fiducia di una vita “più giusta e più serena” per i loro figli.
“La speranza è la spinta nel cuore di chi parte lasciando la casa, la terra, a volte familiari e parenti – penso ai migranti – per cercare una vita migliore, più degna per sé e per i propri cari. Ed è anche la spinta nel cuore di chi accoglie: il desiderio di incontrarsi, di conoscersi, di dialogare. La speranza è la spinta a ‘condividere il viaggio’, perché il viaggio si fa in due: quelli che vengono nella nostra terra e noi che andiamo verso il loro cuore, per capirli, per capire la loro cultura, la loro lingua. E’ un viaggio a due, ma senza speranza quel viaggio non si può fare”.
È anche una spinta a “condividere il viaggio” della vita, come ricorda la Campagna della Caritas al via oggi. Essa in fondo “tiene in piedi la vita”, proteggendola, custodendola e facendola crescere.
La speranza, afferma, “non è virtù per gente con lo stomaco pieno”. Ecco perché, spiega il Papa, da sempre “i poveri sono i primi portatori della speranza”. E in questo senso – osserva – “possiamo dire che i poveri, anche i mendicanti, sono i protagonisti della storia”. D’altra parte, “per entrare nel mondo” Dio ha avuto bisogno proprio di loro: di Giuseppe e di Maria, dei pastori di Betlemme, “umili” che preparavano “nel nascondimento la rivoluzione della bontà”: erano poveri di tutto, ma – sottolinea – erano ricchi del bene più prezioso che esiste al mondo, “cioè la voglia di cambiamento”.
A volte, riflette il Pontefice, “aver avuto tutto dalla vita è una sfortuna”, perché – soprattutto per i giovani – non si desidera “più nulla” e questa è “la peggiore condanna”: chiudendo “la porta ai desideri, ai sogni”. Così, anche nei giovani, cala “l’autunno” sul cuore, diventando “giovani d’autunno”.
Proprio avere un’anima “vuota” è il “peggior” ostacolo alla speranza: è un rischio – nota il Papa – da cui nessuno può dirsi escluso, “perché di essere tentati contro la speranza può capitare anche quando si percorre il cammino della vita cristiana”. Francesco, rifacendosi ai “monaci dell’antichità”, richiama alla mente l’accidia che – dice – “erode la vita dall’interno fino a lasciarla come un involucro vuoto”.
Si tratta di una condizione che il cristiano deve combattere e mai accettare “supinamente”: è importante custodire il nostro cuore, “opponendoci alle tentazioni di infelicità, che sicuramente non provengono da Dio”. E laddove la battaglia contro l’angoscia ci apparisse “particolarmente dura”, la via – assicura Francesco – è quella di “ricorrere al nome di Gesù”, invocando il “Figlio di Dio vivo” di aver “pietà” di noi peccatori, con una preghiera di speranza: solo Cristo infatti può “spalancare le porte”, “risolvere il problema” e farci guardare “l’orizzonte della speranza”. La certezza è che “non siamo soli a combattere contro la disperazione”: “se Gesù ha vinto il mondo, è capace – aggiunge il Pontefice – di vincere in noi tutto ciò che si oppone al bene”. Se Dio è con noi, nessuno ci ruberà quella virtù di cui abbiamo “assolutamente bisogno per vivere”: la speranza.
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Nei saluti ai pellegrini di tutto il mondo, il Papa ricorda le popolazioni recentemente flagellate dal devastante passaggio di Irma: Dio “benedica” Porto Rico e tutti i Caraibi colpiti nei giorni scorsi dall’uragano, dice parlando in spagnolo.
di Giada Aquilino per la Radio Vaticana