Grazie a Gesù, morto e risorto per noi, possiamo accogliere il comandamento del Padre “non uccidere” come “l’appello più importante ed essenziale”, cioè “la chiamata all’amore”. Papa Francesco lo mette in risalto nell’udienza generale, in cui prosegue la catechesi sulla “Quinta Paola del Decalogo”. Il Pontefice si sofferma sul Vangelo di Matteo in cui Gesù rivela un senso “più profondo” del comandamento, che pure già esprime come “agli occhi di Dio” la vita umana sia “preziosa, sacra e inviolabile”, perché “nessuno può disprezzare la vita altrui o la propria”, in quanto l’uomo “porta in sé l’immagine di Dio ed è oggetto del suo amore infinito, qualunque sia la condizione in cui è stato chiamato all’esistenza”.
Cristo, spiega il Papa, estende il significato del “non uccidere” all’“ira contro un fratello”, equiparata ad una “forma di omicidio”, come anche l’insulto e il disprezzo.
Noi siamo abituati a insultare, è vero. E ci viene un insulto come se fosse un respiro. E Gesù ci dice: “Fermati, perché l’insulto fa male, uccide”. Il disprezzo. “Ma io… questa gente, questo lo disprezzo”. E questa è una forma per uccidere la dignità di una persona. E bello sarebbe che questo insegnamento di Gesù entrasse nella mente e nel cuore, e ognuno di noi dicesse: “Non insulterò mai nessuno”. Sarebbe un bel proposito, perché Gesù ci dice: “Guarda, se tu disprezzi, se tu insulti, se tu odi, questo è omicidio”.
Ebbene, nota Francesco, “nessun codice umano equipara atti così differenti assegnando loro lo stesso grado di giudizio”. Se ci si ricorda – dice – che un fratello è offeso nei nostri confronti, Gesù esorta ad “andare a cercarlo e riconciliarsi con lui”.
Anche noi, quando andiamo alla Messa, dovremmo avere questo atteggiamento di riconciliazione con le persone con le quali abbiamo avuto dei problemi. Anche se abbiamo pensato male di loro, li abbiamo insultati. Ma tante volte, mentre aspettiamo che venga il sacerdote a dire la Messa, si chiacchiera un po’ e si parla male degli altri. Ma questo non si può fare. Pensiamo alla gravità dell’insulto, del disprezza, dell’odio: Gesù li mette sulla linea dell’uccisione.
Il Papa riflette allora su cosa intenda dire davvero Gesù.
L’uomo ha una vita nobile, molto sensibile, e possiede un io recondito non meno importante del suo essere fisico. Infatti, per offendere l’innocenza di un bambino basta una frase inopportuna. Per ferire una donna può bastare un gesto di freddezza. Per spezzare il cuore di un giovane è sufficiente negargli la fiducia. Per annientare un uomo basta ignorarlo. L’indifferenza uccide. È come dire all’altra persona: “Tu sei un morto per me”, perché tu l’hai ucciso nel tuo cuore. Non amare è il primo passo per uccidere; e non uccidere è il primo passo per amare.
Riprendendo dalla Bibbia le parole di Caino, dopo che il Signore gli chiede dove sia suo fratello Abele, Francesco osserva come gli assassini siano soliti dire – proprio come il “primo omicida” – “non mi riguarda”, “sono fatti tuoi”. Il Pontefice ricorda allora ai fedeli come si sia tutti “custodi dei nostri fratelli”.
Siamo custodi gli uni degli altri! E questa è la strada della vita, è la strada della non uccisione. La vita umana ha bisogno di amore. E qual è l’amore autentico? E’ quello che Cristo ci ha mostrato, cioè la misericordia. L’amore di cui non possiamo fare a meno è quello che perdona, che accoglie chi ci ha fatto del male. Nessuno di noi può sopravvivere senza misericordia, tutti abbiamo bisogno del perdono. Quindi, se uccidere significa distruggere, sopprimere, eliminare qualcuno, allora non uccidere vorrà dire curare, valorizzare, includere. E anche perdonare.
Nessuno, prosegue il Papa, può illudersi pensando: “Sono a posto perché non faccio niente di male”.
Un minerale o una pianta hanno questo tipo di esistenza, invece un uomo no. Una persona – un uomo o una donna – no. A un uomo o a una donna è richiesto di più. C’è del bene da fare, preparato per ognuno di noi, ciascuno il suo, che ci rende noi stessi fino in fondo. “Non uccidere” è un appello all’amore e alla misericordia, è una chiamata a vivere secondo il Signore Gesù, che ha dato la vita per noi e per noi è risorto.
Esortando a fare sempre “del bene” e ad “andare oltre”, nei saluti finali Francesco ricorda tra le altre la delegazione del “Popolo della famiglia” presente in piazza e sottolinea inoltre come oggi ricorra la memoria liturgica di Sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire a Roma.
Impariamo da questo santo vescovo dell’antica Siria a testimoniare con coraggio la nostra fede. Per sua intercessione, il Signore dia a ciascuno di noi la forza della perseveranza, nonostante le avversità e le persecuzioni.
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Papa Francesco all’udienza generale, salutando i pellegrini polacchi, ha rammentato che ieri 16 ottobre si è ricordato il quarantesimo anniversario dell’elezione alla Sede di Pietro di Karol Wojtyła, san Giovanni Paolo II.
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Giada Aquilino – Città del Vaticano
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