I gesti. Ancora una volta è la testimonianza “fisica” ciò che ha colpito di più dopo il viaggio di Papa Francesco in Molise. A sottolinearlo è mons. Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo metropolita di Campobasso-Boiano e membro della Commissione Pontificia per il clero e la vita consacrata.
Aleteia lo ha intervistato in merito alla recente visita pastorale di Bergoglio.
In Molise Papa Francesco ha toccato problemi comuni alle diverse periferie: il lavoro, la dignità della persona… cosa ha percepito dalle sue parole?
Innanzitutto vorrei sottolineare che il metodo usato dal Papa è quello di sempre e cioè quello dei segni: una giornata intera dedicata a una regione così piccola. Il Papa era visibilmente sereno, paziente, non era stanco e ha prestato attenzione a ogni singolo particolare. Basti pensare che è arrivato con mezz’ora di anticipo! Quello che ha fatto, a mio avviso, è importante perché non ha dato ricette ma un metodo. Ci ha detto di prendere in mano la propria storia e di fare un patto per il lavoro con le istituzioni, trovando una via per risolvere insieme i problemi. E ha sottolineato di ricercare un legame con l’Europa perché esso possa dare veramente frutto.
La scelta di Bergoglio – di incontrare una regione come il Molise – è di fatto un messaggio universale per le “periferie esistenziali”?
Le periferie sono un tema che noi vediamo sempre ma che il Papa non accenna quasi mai direttamente. Lui ce lo fa intuire. Da parte nostra, non bisogna insistere troppo su questo termine ma soffermarsi sui principi che ha voluto lasciare durante la sua visita: il primo è stato “la domenica”. Questa giornata va rilanciata come tempo della gratuità, non c’è motivo di tenere aperti i centri commerciali di domenica. La domenica è il tempo della famiglia e del gioco e per questo il Papa ha interpellato in prima persona le mamme e i papà. Ha sottolineato che la domenica è un tempo etico e cioè da dedicare a coloro che sono fragili, che sono dimenticati. Quindi è importante dedicare tempo ai propri figli e alle “periferie”.
Poi ha voluto dare priorità alla persona umana. Tutto il resto viene dopo. Questo concetto l’ha espresso bene nella Santa Messa parlando della Madonna. Una persona, come Maria, è chiamata a servire Elisabetta poiché Maria è la donna più libera e la libertà è finalizzata proprio a questo: ad amare e servire.
Ha parlato anche di dignità…
Il terzo punto è infatti la dignità: il Papa ha ripetuto più volte, soprattutto ai ragazzi: “Un giovane senza lavoro è un giovane senza dignità” e poi “Chi non porta a casa il pane è privo della dignità.” E per pane non intendiamo solo il cibo ma la dignità di essere padri, madri o fratelli maggiori che portano a casa, con il proprio lavoro, il pane per la famiglia.
Ci tengo a ribadire che questi appelli valgono per le periferie ma anche per l’Europa: non più un’Europa egoista e chiusa ma un Europa coraggiosa e aperta che metta realmente al centro il lavoro.
Francesco ha parlato di perdono soprattutto nell’incontro con i carcerati. Infatti il titolo del viaggio era “Dio non si stanca di perdonare” e vale soprattutto per le persone in carcere…
Sì, ha insistito molto sul tema del perdono, nel carcere di Isernia ma anche in piazza perché ha collegato la Misericordia lanciata da San Celestino V, il primo che ha parlato del Giubileo, con il perdono e la misericordia di San Francesco. Così ha approfondito il modo con cui ci dobbiamo “occupare” della Misericordia: non per buonismo e neanche per clericalismo ma perché ha dentro la forza della nuova antropologia, la forza profetica: se un paese piccolo (come il Molise) vive di libertà può diventare un luogo profetico per il futuro. Di Corrado Paolucci e Ary Ramos per Aleteia.org