In occasione della solennità del Corpus Domini, il Papa celebra la Messa sul sagrato della chiesa di Santa Maria Consolatrice a Casal Bertone. L’Eucarestia ci trasmette la mentalità di Dio, è antidoto contro amarezza, arroganza e indifferenza: le parole di Francesco che, dopo la lunga processione del Santissimo Sacramento tra le vie del quartiere, impartisce la benedizione
Cecilia Seppia – Città del Vaticano
Per la seconda volta il Papa sceglie una periferia per celebrare la Solennità del Corpus Domini con la Messa e la lunga e partecipata processione del Santissimo Sacramento tra le strade del quartiere. Lo scorso anno era la parrocchia di Santa Monica ad Ostia, quest’anno la chiesa di Santa Maria Consolatrice, a Casal Bertone nella periferia Est di Roma. Una celebrazione che diventa segno della presenza di Dio per tutti: bambini ed anziani in prima fila, ma anche per chi la segue dai marciapiedi, dai maxi-schermi o affacciato ai balconi. Non è solo la carezza di Francesco, quarto Pontefice in 75 anni, a raggiungere questo luogo, legato alla storia dei bombardamenti sulla Capitale, durante la Seconda Guerra mondiale, ma il Corpo e Sangue di Cristo, l’amore che l’Eucarestia sprigiona nella città spesso ferita dal degrado e dall’abbandono.
Una scuola di benedizione, strumento capace di trasmettere la mentalità di Dio. Ecco come il Papa definisce il Corpo di Cristo, “quel Pane in cui è racchiuso il tutto della Chiesa”. Ma l’Eucarestia per Bergoglio è anche antidoto contro il male, il disprezzo, l’arroganza, l’indifferenza, contro ogni “mi dispiace, ma non mi riguarda”, “non ho tempo, non posso, non è affare mio”. Il Papa, nell’omelia, si concentra su due verbi che emergono dalla liturgia del giorno: dire e dare. Melchisedek nella prima lettura, spiega Francesco, benedice Abramo, nel quale saranno benedette tutte le famiglie della terra. Nel Vangelo, Gesù prima di moltiplicare i cinque pani, li benedice, trasformandoli in cibo per una moltitudine. Anche noi diventiamo benedetti il giorno del Battesimo e alla fine di ogni Messa e tutte le volte che riceviamo parole buone. Perché benedire – afferma il Pontefice – è trasformare la parola in dono. “Non è dire belle parole, ma dire bene, dire con amore”.
Da qui l’invito che il Santo Padre rivolge ai Pastori e ai sacerdoti, perché si ricordino sempre di benedire il popolo che Dio ha affidato loro.
E solo da benedetti possiamo benedire gli altri con la stessa unzione d’amore. È triste invece vedere con quanta facilità oggi si maledice, si disprezza, si insulta. Presi da troppa frenesia, non ci si contiene e si sfoga rabbia su tutto e tutti. Spesso purtroppo chi grida di più e più forte, chi è più arrabbiato sembra avere ragione e raccogliere consenso. Non lasciamoci contagiare dall’arroganza, non lasciamoci invadere dall’amarezza, noi che mangiamo il Pane che porta in sé ogni dolcezza.
Il popolo di Dio – prosegue il Papa – ama la lode, non vive di lamentele; è fatto per le benedizioni, non per le lamentazioni, perciò è importante invertire la tendenza, imparando a benedire ciò che abbiamo a non maledire il nostro passato, a donare parole buone da cui sgorgano sempre cascate di bene.
Al dire però segue poi il dare che – afferma Francesco – è alla base dell’economia del Vangelo. Quel pane moltiplicato da Gesù per sfamare la folla infatti non è solo un prodotto di consumo, ma è mezzo di condivisione e il miracolo operato da Cristo non è affatto una magia ma è fiducia in Dio e nella sua provvidenza.
Nel mondo sempre si cerca di aumentare i guadagni, di far lievitare i fatturati… Sì, ma qual è il fine? È il dare o l’avere? Il condividere o l’accumulare? L’“economia” del Vangelo moltiplica condividendo, nutre distribuendo, non soddisfa la voracità di pochi, ma dà vita al mondo. Non avere, ma dare è il verbo di Gesù.
Ecco perché, per quanto i discepoli avrebbero agito diversamente, insiste il Papa, Gesù comanda loro: “voi stessi date loro da mangiare”. Perché nella logica cristiana, ciò che abbiamo, poco o tanto che sia, porta frutto solo se lo diamo.
Il Signore fa grandi cose con la nostra pochezza, come con i cinque pani. Egli non compie prodigi con azioni spettacolari, ma con cose umili, spezzando con le sue mani, dando, distribuendo, condividendo. Quella di Dio è un’onnipotenza umile, fatta solo di amore. E l’amore fa grandi cose con le piccole cose. L’Eucaristia ce lo insegna: lì c’è Dio racchiuso in un pezzetto di pane. Semplice ed essenziale, Pane spezzato e condiviso, l’Eucaristia che riceviamo ci trasmette la mentalità di Dio. E ci porta a dare noi stessi agli altri. È antidoto contro il “mi spiace, ma non mi riguarda”, contro il “non ho tempo, non posso, non è affare mio”, contro il guardare dall’altra parte.
Ciascuno, conclude il Papa, è chiamato a mettersi in gioco, sostenuto da quel Pane del cammino, da quel Corpo e Sangue donato che è l’Eucarestia. E’ chiamato a donarsi a sua volta a partire dalla propria città “affamata di amore e di cura che soffre di degrado e abbandono”, perché l’amore di Cristo raggiunga le strade di ogni quartiere:
Davanti a tanti anziani soli, a famiglie in difficoltà, a giovani che stentano a guadagnarsi il pane e ad alimentare i sogni, il Signore ti dice: “Tu stesso da’ loro da mangiare”. E tu puoi rispondere: “Ho poco, non sono capace”. Non è vero, il tuo poco è tanto agli occhi di Gesù se non lo tieni per te, se lo metti in gioco… Il Signore viene sulle nostre strade per dire-bene di noi e per darci coraggio. Chiede anche a noi di essere benedizione e dono.
Al termine della Messa, la lunga processione eucaristica guidata dal cardinale vicario Angelo De Donatis, con salmi e canti, fino al campo sportivo “Roma 6”, dove in preghiera ad accogliere il Santissimo Sacramento ci sono altre centinaia di persone. Stretto nel piviale bianco, da qui il Papa impartisce la benedizione ai fedeli elevando l’ostensorio.
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