All’udienza generale Francesco prosegue un ciclo di catechesi sul significato della celebrazione eucaristica e sottolinea «l’importanza di ascoltare il nostro animo per aprirlo poi al Signore»
Il Papa ha sottolineato «l’importanza di ascoltare il nostro animo per aprirlo poi al Signore» nel momento di silenzio della messa in cui «ognuno pensa alle cose di cui ha bisogno o vuol chiedere durante la preghiera». Proseguendo un ciclo di catechesi sul significato della messa, Francesco ha raccomandato «vivamente» ai sacerdoti di osservare questo momento di silenzio, «non andare di fretta: senza questo silenzio rischiamo di trascurare il raccoglimento dell’anima».
«Nel percorso di catechesi sulla celebrazione eucaristica, abbiamo visto che l’Atto penitenziale ci aiuta a spogliarci delle nostre presunzioni e a presentarci a Dio come siamo realmente, coscienti di essere peccatori, nella speranza di essere perdonati», ha esordito il Papa. «Proprio dall’incontro tra la miseria umana e la misericordia divina prende vita la gratitudine espressa nel Gloria», ha proseguito Francesco, sottolineando poi che dopo il Gloria, oppure, quando questo non c’è, subito dopo l’Atto penitenziale, «la preghiera prende forma particolare nell’orazione denominata “colletta”». «Con l’invito “preghiamo”, il sacerdote esorta il popolo a raccogliersi con lui in un momento di silenzio, al fine di prendere coscienza di stare alla presenza di Dio e far emergere, ciascuno nel proprio cuore, le personali intenzioni con cui partecipa alla Messa. Il sacerdote dice “preghiamo”, poi viene un momento di silenzio, ognuno pensa alle cose di cui ha bisogno o vuol chiedere durante la preghiera. Il silenzio non si riduce all’assenza di parole, bensì nel disporsi ad ascoltare altre voci: quella del nostro cuore e, soprattutto, la voce dello Spirito Santo».
Richiamando l’ordinamento del messale romano, il Papa ha ricordato in particolare che «prima dell’orazione iniziale, il silenzio aiuta a raccoglierci in noi stessi e a pensare al perché siamo lì. Ecco allora l’importanza di ascoltare il nostro animo per aprirlo poi al Signore. Forse veniamo da giorni di fatica, di gioia, di dolore, e vogliamo dirlo al Signore, invocare il suo aiuto, chiedere che ci stia vicino; abbiamo familiari e amici malati o che attraversano prove difficili; desideriamo affidare a Dio le sorti della Chiesa e del mondo. A questo serve il breve silenzio prima che il sacerdote, raccogliendo le intenzioni di ognuno, esprima a alta voce a Dio, a nome di tutti, la comune preghiera che conclude i riti d’introduzione, facendo appunto la “colletta” delle singole intenzioni. Raccomando vivamente ai sacerdoti di osservare questo momento di silenzio – ha rimarcato il Papa – di non andare di fretta: senza questo silenzio rischiamo di trascurare il raccoglimento dell’anima».
Il sacerdote, ha concluso il Papa, recita questa supplica «con le braccia allargate: è l’atteggiamento dell’orante, assunto dai cristiani fin dai primi secoli – come testimoniano gli affreschi delle catacombe romane – per imitare il Cristo con le braccia aperte sul legno della croce. Egli è l’Orante ed è insieme la preghiera» e le orazioni del rito romano, «concise ma ricche di significato», possono «aiutarci ad apprendere come rivolgerci a Dio, cosa chiedere, quali parole usare. Possa la liturgia – ha detto Jorge Mario Bergoglio – diventare per tutti noi una vera scuola di preghiera».
+++ Il video servizio a cura del Centro Televisivo Vaticano +++
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di Jacopo Scaramuzzi per Vatican Insider
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