Il Papa in periferia, nella parrocchia romana di Santa Maddalena di Canossa: le autrici di incantesimi «non esistono», altra cosa è «fare la strega» sparlando. «La tv mi fa brutto».
Più di tutto lo spaventa la malvagità della gente. Oltre che le chiacchiere. Anche quelle della Curia romana. Non le streghe, che sono solo «una bugia». Nel pomeriggio di oggi, 12 marzo 2017, papa Francesco si reca in visita pastorale alla parrocchia di Santa Maddalena di Canossa, nella Borgata Ottavia, periferia di Roma.
Al suo arrivo in quella che è la quattordicesima visita nella sua diocesi, il Pontefice incontra i bambini e i ragazzi del catechismo. Quindi il Vescovo di Roma saluta gli anziani e gli ammalati, gli sposi che hanno battezzato i propri figli nel 2016 e gli operatori pastorali. Infine, confessa alcuni penitenti.
Successivamente, presiede nella chiesa parrocchiale la Messa.
Tra gli applausi dei fedeli, nella vigilia del quarto anniversario del pontificato, il Papa viene accolto dal vicario di Roma, il cardinale Agostino Vallini. La folla lo saluta calorosamente e il Papa si concede anche a tanti selfie. Quindi ha cominciato a rispondere – «a braccio» – ai bambini della diocesi: «Quando Sara mi ha fatto la domanda “di cosa hai paura?”, ha aggiunto: “Io ho paura delle streghe”. Ma le streghe non esistono e non fanno paura. Fanno magari tre o quattro cose (riti magici, ndr) ma quelle si chiamano stupidaggini. Le streghe non hanno alcun potere. Sono una bugia». Invece «mi spaventa – continua – quando una persona è cattiva. La malvagità della gente mi fa paura. Tutti abbiamo il seme della cattiveria dentro ma quando una persona sceglie di essere cattiva mi spaventa perché può fare tanto male, in famiglia, sul posto di lavoro, anche in Vaticano quando c’è il chiacchieraggio».
Dunque «mi piace fare il Papa e mi piaceva quando ero parroco e rettore, facevo la catechesi e sempre essere sacerdote mi piaceva tanto. Cosa è più bello? Quello che Dio vuole, quello che il Signore ti chiede questo è bello». Perché «quando il Signore ti dà un compito, che sia una parrocchia, che sia una diocesi o che sia il Papa che cosa ti chiede? Amare, fare una comunità d’amore in cui tutti si vogliono bene». E questo «lo devono fare tutti. La pace si comincia in famiglia e con i compagni di scuola. Cosa devi fare se tu ti arrabbi? Fa la pace e continua ad andare».
Mentre «ti avvicini a Gesù – dice Francesco rispondendo a un’altra interrogazione – ti accorgi che Lui si è avvicinato prima, Lui fa sempre il primo passo. Ti parla al cuore e se tu non vuoi sentire rimane. Ti aspetta sempre. Noi ci avviciniamo ma poi scopriamo che è lì ad aspettarci. Sempre lì. E se hai fatto qualcosa di brutto ti caccia via? No… Ti perdona, se tu sei pentito. Sempre Gesù si avvicina per primo e sempre è con noi nei nostri cuori. Non ci abbandona nei momenti belli e in quelli brutti ci consola»
Il Papa si sofferma poi sull’uso dello smartphone: il dialogo col telefonino «è virtuale, liquido, non è concreto» e non consente «quell’apostolato dell’orecchio» di cui oggi c’è più che mai bisogno poiché «la mancanza di ascolto è una delle malattie attuali più brutte». Esorta a immaginare questa scena: «A tavola un papà, una mamma, un bambino, una bambina, ognuno di loro col proprio telefonino, tutti parlano ma parlano fuori, tra loro non dialogano, questo è il problema, quindi dico a voi giovani, come si comincia? Sbloccando le orecchie. Per esempio quando vai a visitare un malato stai zitto prima, dai un abbraccio, una carezza, poi una domanda e lo lasci parlare, ha bisogno di sfogarsi o magari di non dire nulla e di essere guardato».
Al primo posto «c’è il cuore e solo al secondo la parola». Si dice « che noi preti dobbiamo parlare a nuora perché suocera intenda, ecco io lo dico ai bambini perché imparino anche i grandi».
Nell’omelia della Messa, afferma Francesco, tornando sul tema della trasfigurazione, che ha trattato anche all’Angelus di questa mattina: «Noi siamo abituati a parlare dei peccati altrui, è una cosa brutta, invece parlare di peccato altrui, dobbiamo non dico farci peccato (come ha fatto Cristo assumendo su di sé il peccato dell’umanità, ndr) perché noi non possiamo, ma almeno guardare i nostri peccati in rapporto a Gesù che si è fatto peccato».Mette a confronto i due «volti di Gesù», quello «luminoso della trasfigurazione» e quello di quanto si è «fatto peccato». Gesù, «mentre scendevano dal monte ordinò ai discepoli di non parlare di questa visione prima che lui non fosse risorto dalla morte». Ma «cosa voleva dire? Che fra questa trasfigurazione tanto bella e quella risurrezione ci sarà un altro volto di Gesù, ci sarà un volto non tanto bello, ci sarà un volto brutto sfigurato, torturato, disprezzato, insanguinato e incoronato di spine, tutto il corpo di Gesù sarà proprio così come una cosa per separare due trasfigurazioni, e in mezzo c’è Gesù crocifisso, la croce, dobbiamo guardare tanto la croce – invita – il padre si compiace in lui, lui si è annientato, per salvarci e per usare una parola troppo forte tropo forte forse una delle parole più forti del Nuovo testamento, che usa san Paolo, “si è fatto peccato”, e peccato è offesa a Dio, è schiaffo a Dio, è dire a Dio “tu non mi importi, io preferisco questo”».
Gesù «si è annientato e si è abbassato per preparare i discepoli a non scandalizzarsi a vederlo così in croce». Tutto questo «ci incoraggi ad andare avanti nel cammino della vita cristiana, ci incoraggi a chiedere perdono per i nostri peccati, a non peccare tanto, ci incoraggi soprattutto ad avere fiducia perché se si è fatto peccato è disposto sempre a perdonarci, soltanto dobbiamo chiederlo».
Al termine della visita, Francesco ha fatto rientro in Vaticano.
di DOMENICO AGASSO JR per Vatican insider
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