Papa Francesco, dopo il rientro in Vaticano dal ricovero al policlinico Gemelli per una bronchite infettiva, ha celebrato la Domenica delle Palme.
‘Oggi chiediamo la grazia di saper riconoscere il Signore che grida negli abbandonati’ – ha detto il Papa durante l’omelia. ‘Non siamo stati lasciati soli da Dio, prendiamoci noi cura di chi è stato lasciato solo!’. “Oggi ci sono tanti “cristi abbandonati”. Ci sono popoli interi sfruttati e lasciati a sé stessi; ci sono poveri che vivono agli incroci delle nostre strade e di cui non abbiamo il coraggio di incrociare lo sguardo; migranti che non sono più volti ma numeri; detenuti rifiutati, persone catalogate come problemi. Ma ci sono anche tanti cristi abbandonati invisibili, nascosti, che vengono scartati coi guanti bianchi: bambini non nati, anziani lasciati soli, ammalati non visitati, disabili ignorati, giovani che sentono un grande vuoto dentro senza che alcuno ascolti davvero il loro grido di dolore.”
Il Pontefice è arrivato in una piazza San Pietro gremita di fedeli a bordo della papamobile, attraversando l’area tra due ali di folla. L’auto scoperta si è fermata poi ai piedi dell’Obelisco, il Papa è sceso e ha dato avvio alla solenne celebrazione, benedicendo le palme. La cerimonia apre i riti della Settimana Santa.
«Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). È l’invocazione che la Liturgia oggi ci ha fatto ripetere nel Salmo responsoriale (cfr Sal 22,2) ed è l’unica pronunciata sulla croce da Gesù nel Vangelo che abbiamo ascoltato. Sono dunque le parole che ci portano al cuore della passione di Cristo, al culmine delle sofferenze che ha patito per salvarci.
Le sofferenze di Gesù sono state molteplici e ogni volta che ascoltiamo il racconto della passione ci entrano dentro. Sono state sofferenze del corpo: dagli schiaffi alle percosse, dalla flagellazione alla corona di spine, fino alla tortura della croce. Sono state sofferenze dell’anima: il tradimento di Giuda, i rinnegamenti di Pietro, le condanne religiose e civili, lo scherno delle guardie, gli insulti sotto la croce, il rifiuto di tanti, il fallimento di tutto, l’abbandono dei discepoli.
Eppure, in tutto questo dolore a Gesù restava una certezza: la vicinanza del Padre. Ma ora accade l’impensabile; prima di morire grida: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?». Ecco la sofferenza più lacerante, quella dello spirito: nell’ora più tragica Gesù prova l’abbandono da parte di Dio. Mai, prima di allora, aveva chiamato il Padre con il nome generico di Dio. Per trasmetterci la forza di quel fatto, il Vangelo riporta la frase anche in aramaico: è l’unica, tra quelle dette da Gesù in croce, che ci giunge in lingua originale e che troviamo sia in Matteo sia in Marco (cfr Mc 15,34). L’evento è dunque reale e l’abbassamento è estremo: il Signore arriva a soffrire per amore nostro quanto per noi è difficile persino comprendere. Vede il cielo chiuso, sperimenta la frontiera amara del vivere, il naufragio dell’esistenza, il crollo di ogni certezza: grida “il perché dei perché”.
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Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? Il verbo “abbandonare” nella Bibbia è forte; compare in momenti di dolore estremo: in amori falliti, respinti e traditi; in figli rifiutati e abortiti; in situazioni di ripudio, vedovanza e orfananza; in matrimoni esausti, in esclusioni che privano dei legami sociali, nell’oppressione dell’ingiustizia e nella solitudine della malattia: insomma, nelle più drastiche lacerazioni dei legami. Cristo ha portato questo sulla croce, caricandosi il peccato del mondo. E al culmine Egli, il Figlio unigenito e prediletto, ha provato la situazione a Lui più estranea: la lontananza di Dio.
Ma, possiamo chiederci, perché
è arrivato a tanto?
La risposta è una sola: per noi. Si è fatto solidale con noi fino al punto estremo, per essere con noi fino in fondo. Perché nessuno di noi si possa pensare solo e irrecuperabile. Ha provato l’abbandono per non lasciarci ostaggi della desolazione e stare al nostro fianco per sempre.
Fratello, sorella, l’ha fatto per me, per te, perché quando io, tu o chiunque altro si vede con le spalle al muro, perso in un vicolo cieco, sprofondato nell’abisso dell’abbandono, risucchiato nel vortice dei “perché”, ci sia speranza. Non è la fine, perché Gesù è stato lì e ora è con te: Lui, il Padre e lo Spirito hanno sofferto la lontananza dell’abbandono per accogliere nel loro amore ogni nostra distanza. Perché ciascuno di noi possa dire: nelle mie cadute, nella mia desolazione, quando mi sento tradito, scartato e abbandonato, Tu ci sei, Gesù; nei miei fallimenti sei con me; quando mi sento sbagliato e perso, quando non ce la faccio più, ci sei, sei con me; nei miei “perché” senza risposta sei con me.
Il Signore ci salva così, dal di dentro dei nostri “perché”. Da lì dischiude la speranza.
Sulla croce, infatti, mentre prova l’estremo abbandono, non si lascia andare alla disperazione, ma prega e si affida. Grida il suo “perché” con le parole di un salmo (22,2) e si consegna nelle mani del Padre, anche se lo sente lontano (cfr Lc 23,46).
Nell’abbandono si affida. Non solo: nell’abbandono continua ad amare i suoi che l’avevano lasciato solo e perdona i suoi crocifissori (v. 34). Ecco che l’abisso del nostro male viene immerso in un amore più grande, così che ogni nostra separazione si trasforma in comunione.
Fratelli e sorelle, un amore così, tutto per noi, fino alla fine, può trasformare i nostri cuori di pietra in cuori di carne, capaci di pietà, di tenerezza, di compassione. Cristo abbandonato ci smuove a cercarlo e ad amarlo negli abbandonati. Perché in loro non ci sono solo dei bisognosi, ma c’è Lui, Gesù abbandonato, Colui che ci ha salvati scendendo fino al fondo della nostra condizione umana.
Per questo Egli desidera che ci prendiamo cura dei fratelli e delle sorelle che più assomigliano a Lui, a Lui nell’atto estremo del dolore e della solitudine. Oggi ci sono tanti “cristi abbandonati”. Ci sono popoli interi sfruttati e lasciati a sé stessi; ci sono poveri che vivono agli incroci delle nostre strade e di cui non abbiamo il coraggio di incrociare lo sguardo; migranti che non sono più volti ma numeri; detenuti rifiutati, persone catalogate come problemi. Ma ci sono anche tanti cristi abbandonati invisibili, nascosti, che vengono scartati coi guanti bianchi: bambini non nati, anziani lasciati soli, ammalati non visitati, disabili ignorati, giovani che sentono un grande vuoto dentro senza che alcuno ascolti davvero il loro grido di dolore.
Gesù abbandonato ci chiede di avere occhi e cuore per gli abbandonati. Per noi, discepoli dell’Abbandonato, nessuno può essere emarginato, nessuno può essere lasciato a sé stesso; perché, ricordiamolo, le persone rifiutate ed escluse sono icone viventi di Cristo, ci ricordano il suo amore folle, il suo abbandono che ci salva da ogni solitudine e desolazione.
Chiediamo oggi questa grazia: di saper amare Gesù abbandonato e di saper amare Gesù in ogni abbandonato.
Chiediamo la grazia di saper vedere e riconoscere il Signore che ancora grida in loro. Non permettiamo che la sua voce si perda nel silenzio assordante dell’indifferenza. Non siamo stati lasciati soli da Dio; prendiamoci cura di chi viene lasciato solo. Allora, soltanto allora, faremo nostri i desideri e i sentimenti di Colui che per noi «svuotò se stesso» (Fil 2,7)
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