Nel mondo secolarizzato di oggi, siamo pervasi dal “sentimento di essere orfani”. Nella sagrestia della cattedrale di Santiago, Papa Francesco incontra i vescovi del Cile, una cinquantina, e li esorta a non aver paura di spogliarsi di ciò che “allontana dal mandato missionario”. Il Pontefice ricorda pure che i presuli hanno il compito di stare “vicini” ai consacrati, ai presbiteri, con una paternità che “non è né paternalismo né abuso di autorità”: è un aiuto a “crescere e a sviluppare” i carismi donati dallo Spirito Santo, con la coscienza di “essere popolo”. Si sofferma quindi sulla sensazione odierna “di non appartenere a nessuno”.
Questo sentire “postmoderno” può penetrare in noi e nel nostro clero; allora incominciamo a pensare che non apparteniamo a nessuno, dimentichiamo che siamo parte del santo popolo fedele di Dio e che la Chiesa non è, non è e non sarà mai un’élite di consacrati, sacerdoti o vescovi. Non potremmo sostenere la nostra vita, la nostra vocazione o ministero senza questa coscienza di essere popolo.
Il rischio della mancanza di consapevolezza di appartenere al popolo di Dio “come servitori e non come padroni” è di cadere in una delle “tentazioni che – spiega – arrecano maggior danno al dinamismo missionario”:
“Il clericalismo, che risulta una caricatura della vocazione ricevuta. La mancanza di consapevolezza del fatto che la missione è di tutta la Chiesa e non del prete o del vescovo limita l’orizzonte e, quello che è peggio, limita tutte le iniziative che lo Spirito può suscitare in mezzo a noi. Diciamolo chiaramente, i laici non sono i nostri servi, né i nostri impiegati. Non devono ripetere come “pappagalli” quello che diciamo.
L’esortazione è a vigilare contro tale tentazione “nei seminari e in tutto il processo formativo” dei sacerdoti “di domani”. Francesco puntualizza che la loro missione dovrà svolgersi in uno “scenario concreto”.
Vi confesso, io sono preoccupato per la formazione dei seminaristi: che siano pastori al servizio del popolo di Dio. Che siano pastori. Con la dottrina, con la disciplina, con il sacramento, con la vicinanza, con le opere di carità, ma che abbiano questa coscienza di popolo.
Una missione, la loro, che deve avvenire “in unione fraterna”, “gomito a gomito” col popolo di Dio, “dando impulso e stimolando il laicato in un clima di discernimento e sinodalità”. E ribadisce un preciso “no” al clericalismo e a mondi ideali “che non toccano la vita di nessuno”.
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L’invito finale è che “le abitudini, gli stili, gli orari, il linguaggio ed ogni struttura ecclesiale” diventino strumenti adatti per l’evangelizzazione del Cile, “più che per un’autoconservazione ecclesiastica”.
Nel corso dei saluti, inaugurati da quello del presidente della locale Conferenza episcopale, mons. Santiago Silva, che auspica come la Chiesa in Cile possa trasformarsi in “casa per tutti”, il Papa non dimentica mons. Bernardino Piñera Carvallo. E’ il vescovo più anziano del mondo, “tanto in età come in anni di episcopato”, spiega il Pontefice, ricordando che a breve, a 103 anni, compirà 60 anni di episcopato: ha vissuto quattro sessioni del Concilio Vaticano II ed è – dice Francesco – una “bella memoria vivente”. Prima di lasciare la cattedrale, il saluto ai delegati delle Chiese non cattoliche e delle religioni non cristiane.
di Giada Aquilino – Città del Vaticano
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