La conferenza stampa sul volo di ritorno da Fatima. Francesco parla delle apparizioni in Erzegovina, apre a quelle avvenute all’inizio ma esprime molti dubbi su quelle attuali. Su Trump: «Non dò giudizi prima di incontrarlo». Sui Lefebvriani: «I rapporti sono fraterni». «Non ho mai dato la grazia in un caso di abusi sui minori»
«Preferisco la Madonna Madre a quella che fa il capo di ufficio telegrafico che ogni giorno invia un messaggio». Papa Francesco di ritorno da Fatima smorza le interpretazioni sulla preghiera relativa al «vescovo vestito di bianco» («Non l’ho scritta io») e risponde a una domanda sulle apparizioni di Medjugorje rivelando il contenuto della relazione Ruini, positiva sulle prime apparizioni ma dubbiosa sul quelle attuali.
Che cosa rimane ora per la Chiesa e il mondo intero dalle apparizioni di Fatima? E che cosa si può sperare dall’incontro con Trump del 24 maggio?
«Fatima è un messaggio di pace portato all’umanità da tre grandi comunicatori che avevano meno di 13 anni. La canonizzazione dei pastorelli è stata una cosa che all’inizio non era pianificata, perché il processo sul miracolo procedeva lentamente, poi sono arrivate le perizie e per me è stata una grande felicità. Il mondo può sperare la pace. E con tutti io parlerò di pace. Prima di imbarcarmi sul volo da Roma ho ricevuto degli scienziati di varie religioni che partecipavano a un convegno all’osservatorio vaticano. Un ateo, senza dirmi da che Paese veniva, mi ha salutato così: “Io sono ateo! Le chiedo un favore: dica ai cristiani che amino di più i musulmani”. Questo è un messaggio di pace!».
Ieri lei ha chiesto di abbattere i muri, ma fra qualche giorno incontra un capo di Stato, il presidente Trump, che vuole costruire i muri e che la pensa diversamente da lei ad esempio sul clima e sui migranti. Alla vigilia di questa udienza che opinione si è fatto sulle politiche del Presidente americano e che cosa si aspetta dall’incontro con lui?
«Mai mi faccio un giudizio su una persona senza ascoltarla, credo di non doverlo fare. Dal nostro colloquio usciranno le cose, lui dirà quello che pensa e io dirò quello che penso. Sui migranti sapete bene che cosa io penso. Sempre ci sono porte che non sono del tutto chiuse, bisogna cercare le porte che almeno siano un po’ aperte, bisogna entrare e parlare su ciò che c’è di comune e andare avanti passo dopo passo. La pace è artigianale, si fa ogni giorno. Anche l’amicizia tra le persone, la conoscenza mutua, la stima reciproca è artigianale, si fa quotidianamente. Bisogna avere rispetto dell’altro, allo stesso tempo dire ciò che si pensa in modo molto sincero».
Spera che dopo l’incontro il Presidente Trump ammorbidirà le sue politiche?
«Questo è un calcolo politico che non mi permetto di fare… E sapete che sul piano religioso non faccio proselitismo».
Lei a Fatima si è presentato come “vescovo vestito di bianco”, con le stesse parole usate da suor Lucia nel Terzo Segreto. Fino ad ora si applicavano a Giovanni Paolo II, all’attentato che ha subito, ai martiri del XX secolo. Che cosa significa ora?
«La preghiera alla Madonna che conteneva quell’espressione non l’ho composta io, l’ha fatta il santuario di Fatima. C’è un collegamento tra il vescovo di bianco, la Madonna vestita di bianco, il bianco dei bambini innocenti per il battesimo. Credo che letterariamente abbiano cercato di esprimere col bianco quella voglia di pace, di innocenza, di non fare guerra all’altro. L’allora cardinal Ratzinger ha spiegato tutto chiaramente del Terzo Segreto».
Il 13 maggio è un giorno particolare per lei perché nel 1992 il nunzio Calabresi le annunciò la nomina a vescovo ausiliare di Buenos Aires. Ha mai collegato questo fatto con Fatima e in questi giorni ha pensato a questo?
«Non ho pensato alla coincidenza. Soltanto ieri mentre pregavo davanti alla Madonna mi sono ricordato che il 13 maggio di 25 anni fa ho ricevuto la chiamata del nunzio che mi annunciava la nomina a vescovo. Alla Madonna ho chiesto scusa dei miei sbagli e anche per il mio cattivo gusto nello scegliere la gente…».
La Fraternità San Pio X ha una grande devozione per Fatima. Si parla di un accordo a breve e alcuni immaginavano un annuncio oggi. Si farà questo accordo e qual è per lei il senso di questa riconciliazione? Rientreranno con trionfalismo?
«Scarterei ogni forma di trionfalismo. Alcuni giorni fa la Feria IV, il congresso della Congregazione per la dottrina della fede, ha studiato un documento e questo testo ancora a me non è arrivato. I rapporti attuali sono fraterni, l’anno scorso ho dato la dispensa per la confessione a tutti i loro sacerdoti e anche una forma di giurisdizione per i matrimoni. Ma già da tempo i loro problemi, i casi che devono essere risolti dalla Congregazione per la dottrina della fede – per esempio i casi di abusi – li stanno affrontando con i dicasteri vaticani. Con monsignor Fellay ho un buon rapporto, ho parlato diverse volte con lui. A me non piace affrettare le cose, ma camminare e camminare, poi si vedrà. Per me non è un problema di vincitori o sconfitti, ma di fratelli che fanno passi avanti».
Evangelici e cattolici possono fare un tratto di strada insieme? Potranno partecipare alla stessa mensa?
«Sono stati fatti grandi passi in avanti. Pensiamo alla dichiarazione sulla Giustificazione, da quel momento il cammino non si è fermato. Il viaggio in Svezia è stato molto significativo. Anche per l’ecumenismo del cammino, del camminare insieme, con la preghiera, con il martirio, con le opere di carità e misericordia. E lì la Caritas luterana e cattolica hanno fatto un accordo per lavorare insieme. Dio è il Dio delle sorprese, non dobbiamo mai fermarci, dobbiamo pregare insieme, testimoniare insieme, fare le opere di misericordia insieme, affermare che Gesù è l’unico salvatore e che la grazia soltanto viene da Lui. I teologi continueranno a studiare, noi andiamo avanti col cammino».
A Fatima abbiamo visto una grande testimonianza di fede popolare, la stessa che si riscontra anche a Medjugorje. Che cosa pensa di quelle apparizioni e del fervore religioso che hanno suscitato, visto che ha deciso di nominare un vescovo delegato per gli aspetti pastorali?
«Tutte le apparizioni o le presunte apparizioni appartengono alla sfera privata, non sono parte del magistero pubblico ordinario. Per Medjugorje Benedetto XVI ha istituito una commissione presieduta dal cardinale Ruini. Io ho ricevuto il risultato, era composta di bravi teologi, vescovi e cardinali. La relazione della commissione è molto, molto buona. C’erano alcuni dubbi nella Congregazione per la dottrina della fede e il dicastero ha giudicato opportuno inviare a ognuno dei membri della Feria IV – la riunione mensile della Congregazione – tutta la documentazione, anche i pareri contrari alla relazione Ruini. Io ho ricevuto la notificazione un sabato, in tarda serata. Non mi è sembrato giusto: era come mettere “all’asta” la relazione Ruini, che è molto ben fatta. Domenica mattina il Prefetto della dottrina della fede ha ricevuto una lettera nella quale gli chiedo che invece di inviare alla Feria IV quelle opinioni contrarie, le inviino a me personalmente. Questi pareri sono stati studiati tutti – sottolineo tutti. La relazione Ruini afferma che si devono distinguere le prime apparizioni, quando i veggenti erano ragazzi e dice che si deve continuare a investigare quelle. Sulle presunte apparizioni attuali, la relazione presenta i suoi dubbi. Io personalmente sono più cattivo, preferisco la Madonna Madre che non la Madonna capo di ufficio telegrafico che ogni giorno invia un messaggio. E queste presunte apparizioni non hanno tanto valore: questo lo dico come opinione personale. C’è chi pensa che la Madonna dica: venite, quel tal giorno alla tal ora darò un messaggio a quel veggente. Poi, terzo punto, c’è il fatto spirituale e pastorale, il nocciolo della relazione: gente che si converte, che incontra Dio, che cambia vita. E questo non grazie a una bacchetta magica. Questo fatto non si può negare. Adesso per vedere questo, ho nominato un vescovo bravo (monsignor Hoser, ndr) che ha esperienza per occuparsi della parte pastorale. Alla fine si dirà qualche parola».
Le ONG che salvano i migranti in mare sono state accusate di collusione con gli scafisti trafficanti di uomini. Che cosa ne pensa?
«Ho letto sul giornale che c’era questo problema, ma ancora non conosco i dettagli e per questo non posso esprimere opinioni. So che c’è un problema e che le indagini vanno avanti. Mi auguro che vadano avanti e che venga fuori tutta la verità».
Marie Collins è l’ultimo membro della commissione per la tutela dei minori che si è dimessa spiegando di averlo fatto perché gli ufficiali in Vaticano non mettevano in pratica i consigli della commissione. Di chi è la responsabilità? E che cosa sta facendo lei perché siano messi in atto?
«Marie Collins mi ha spiegato bene la cosa, ho parlato con lei, è una brava donna. Continuerà a lavorare nella formazione con sacerdoti su questo punto. Ha rivolto questa accusa e un po’ di ragione ce l’ha perché ci sono tanti casi in ritardo. In ritardo perché si ammucchiavano lì. In questo tempo si è dovuto fare la legislazione, oggi in quasi tutte le diocesi c’è un protocollo da seguire, i dossier vengono fatti bene, è un progresso grande. C’è poca gente, c’è bisogno di più personale capace di seguire questo, il Segretario di Stato e il cardinale Müller stanno cercando più personale. Si è cambiato il direttore dell’ufficio disciplinare della Congregazione per la dottrina della fede, che era bravissimo ma un po’ stanco ed è tornato in patria per fare lo stesso lavoro lì. Il nuovo è un irlandese, monsignor Kennedy, molto bravo ed efficiente, e questo aiuterà abbastanza. Poi c’è un problema: a volte i vescovi inviano i casi, se il protocollo va bene, passa subito alla riunione della Feria IV, altrimenti deve tornare indietro e per questo si pensa ad aiuti continentali, uno o due per continente: dei pre-tribunali o tribunali continentali. Quando la Feria IV riduceva un sacerdote allo stato laicale, se lui faceva ricorso, il caso veniva studiato dalla stessa Feria IV. Ho creato un altro tribunale e ho messo a capo di questo una persona indiscutibile, l’arcivescovo di Malta Scicluna, tra i più forti contro gli abusi. Se viene approvata la prima sentenza, è finito il caso, il sacerdote ha solo la possibilità di appellarsi al Papa per chiedere la grazia: mai ho firmato una grazia. Marie Collins ha ragione ma noi eravamo sulla strada, ci sono duemila casi ammucchiati in attesa».
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«È un problema politico, e della coscienza cattolica che a volte non è di appartenenza totale alla Chiesa. Dietro a questo c’è la mancanza di una catechesi ben fatta. Ci sono zone, in Italia e in America latina, ad esempio, in cui sono molto cattolici e allo stesso tempo anticlericali e mangiapreti. Mi preoccupa, però dico ai sacerdoti che è il clericalismo che allontana la gente. Il clericalismo è una peste nella Chiesa».
di Andrea Tornielli per Vatican Insider
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