Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Come riconoscere la consolazione autentica? È questa la domanda, “molto importante” per non essere “ingannati nella ricerca del nostro vero bene”, che fa da perno alla riflessione del Papa all’udienza generale in piazza San Pietro, gremita di pellegrini nonostante il clima invernale. In questo tempo liturgico di Avvento, proseguendo il ciclo di catechesi sul tema del discernimento “e in particolare sull’esperienza spirituale chiamata consolazione”, il Pontefice esorta a riflettere su come distinguere uno spirito buono da uno cattivo. È l’esame di coscienza, spiega il Papa, la chiave per non permettere al male di contaminare i nostri pensieri. Si deve “imparare a leggere nel libro del nostro cuore”.
C’è una vera consolazione, ma ci sono anche “delle consolazioni che non sono vere”. E per questo si deve capire bene, spiega il Pontefice, “il percorso della consolazione” Nella ricerca del vero bene si possono trovare alcuni criteri, ricorda Francesco, “in un passo degli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola”: “Se nei pensieri tutto è buono, il principio, il mezzo e la fine, e se tutto è orientato verso il bene, questo è un segno dell’angelo buono. Può darsi invece che nel corso dei pensieri si presenti qualche cosa cattiva o distrattiva… Questo allora è un chiaro segno che quei pensieri provengono dallo spirito cattivo”. Ma cosa significa – chiede il Santo Padre – che il principio è orientato al bene?
Ad esempio … mettiamo un esempio: ho il pensiero di pregare, e noto che si accompagna ad affetto verso il Signore e il prossimo, invita a compiere gesti di generosità, di carità: è un principio buono. Può invece accadere che quel pensiero sorga per evitare un lavoro o un incarico che mi è stato affidato: ogni volta che devo lavare i piatti o pulire la casa, mi viene una grande voglia di mettermi a pregare! Succede questo, nei conventi, eh? Ma la preghiera non è una fuga dai propri compiti, al contrario è un aiuto a realizzare quel bene che siamo chiamati a compiere, qui e ora.
Dopo il principio c’è il mezzo, ciò che segue un pensiero. Si deve evitare, spiega il Papa, che il cuore venga corroso dallo spirito cattivo. La consolazione, ad esempio, non è pregare “per sentirsi un pavone davanti a Dio”:
Rimanendo nell’esempio precedente, se comincio a pregare e, come fa il fariseo della parabola, tendo a compiacermi di me stesso e a disprezzare gli altri, magari con animo risentito e acido, allora questi sono segni che lo spirito cattivo ha usato quel pensiero come chiave di accesso per entrare nel mio cuore e trasmettermi i suoi sentimenti.
C’è poi la fine. Per non consentire al male di presentarsi in maniera subdola è importante chiedersi dove porti un pensiero, se tenda verso Dio o verso il nostro ego. “Ad esempio – osserva il Papa – può capitare che mi impegni a fondo per un’opera bella e meritevole, ma questo mi spinge a non pregare più, mi scopro sempre più aggressivo e incattivito, ritengo che tutto dipenda da me, fino a perdere fiducia in Dio. Qui evidentemente c’è l’azione dello spirito cattivo”.
Lo stile del nemico – quando parliamo del nemico, parliamo del diavolo, eh? Ma, il demonio esiste, c’è! – lo stile di lui, lo sappiamo, è di presentarsi in maniera subdola, mascherata: parte da ciò che ci sta maggiormente a cuore e poi ci attrae a sé, a poco a poco: il male entra di nascosto, senza che la persona se ne accorga. E con il tempo la soavità diventa durezza: quel pensiero si rivela per come è veramente.
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