Adriana Masotti – Città del Vaticano per Vaticannews.va
Attesa e sorpresa, sono le due parole che Papa Francesco sottolinea nell’omelia commentando le letture della liturgia odierna: la pagina tratta dal libro di Isaia che descrive la realizzazione da parte di Dio delle nostre attese più grandi; quella tratta dalla Lettera ai Romani dell’apostolo Paolo che ci ricorda che noi siamo figli e quindi eredi di Dio e coeredi di Cristo; e infine il brano evangelico del Giudizio finale di Marco. “Viviamo nell’attesa dell’incontro” con Dio, afferma il Papa, sperando quel giorno di sentirci scaldare il cuore dalle parole di Gesù: ‘Venite, benedetti dal Padre mio’.
“Siamo nella sala d’attesa del mondo per entrare in paradiso” dice il Papa, un’attesa che va alimentata esercitandosi, prosegue Francesco, nel desiderio del Cielo.
Ci fa bene oggi chiederci se i nostri desideri hanno a che fare con il Cielo. Perché rischiamo di aspirare continuamente a cose che passano, di confondere i desideri con i bisogni, di anteporre le aspettative del mondo all’attesa di Dio. Ma perdere di vista ciò che conta per inseguire il vento sarebbe lo sbaglio più grande della vita. Guardiamo in alto, perché siamo in cammino verso l’Alto, mentre le cose di quaggiù non andranno lassù: le migliori carriere, i più grandi successi, i titoli e i riconoscimenti più prestigiosi, le ricchezze accumulate e i guadagni terreni, tutto svanirà in un attimo, tutto.
Nonostante questo, quanto tempo e quante energie, fa notare il Papa, spendiamo preoccupandoci per queste cose, “lasciando che si affievolisca la tensione verso casa” e perdendo di vista “la meta del viaggio”. Francesco invita perciò ciascuno a interrogarsi sulla propria fede nelle parole che recita nel Credo – la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà – e se nella nostra vita conta l’essenziale o ci lasciamo distrarre da cose superflue.
La seconda parola, sorpresa, emerge dal Vangelo di Matteo, il capitolo 25, una sorpresa che è simile a quella espressa dai protagonisti del brano che chiedono al Signore “quando mai” hanno soccorso Lui nelle tante forme di carità materiale e spirituale vissute nella vita. “Quando mai? Così si esprime la sorpresa di tutti, lo stupore dei giusti e lo sgomento degli ingiusti”, osserva il Papa che prosegue:
Quando mai? Lo potremmo dire anche noi: ci aspetteremmo che il giudizio sulla vita e sul mondo avvenga all’insegna della giustizia, davanti a un tribunale risolutore che, vagliando ogni elemento, faccia chiarezza per sempre sulle situazioni e sulle intenzioni. Invece, nel tribunale divino, l’unico capo di merito e di accusa è la misericordia verso i poveri e gli scartati: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me», sentenzia Gesù. L’Altissimo sembra che sta nei più piccoli, Chi abita i cieli dimora tra i più insignificanti per il mondo. Che sorpresa!
Servire i più piccoli, è questo l’insegnamento del Vangelo e il Papa, a braccio, dice di aver ricevuto questa mattina una lettera da un cappellano luterano che opera in una casa di accoglienza per bimbi “orfani di guerra” in Ucraina, bambini soli e abbandonati e continua:
E lui diceva: “Questo è il mio servizio: accompagnare questi, scartati, perché hanno perso i genitori, la guerra crudele li ha lasciati da soli”. Quest’uomo fa quello che Gesù gli chiede: curare i più piccoli della tragedia. E quando io ho letto quella lettera scritta con tanto dolore, mi sono commosso perché ho detto: “Signore, si vede che tu continui a ispirare i veri valori del Regno”.
Eppure il giudizio sarà così perché, afferma Papa Francesco, “a emetterlo sarà Gesù, il Dio dell’amore umile”. Sappiamo, dunque, quello che dobbiamo fare per prepararci a quel momento, cioè “amare gratuitamente e a fondo perduto”, dando a chi “non può restituirci nulla”. Il Papa avverte: “Fratelli, sorelle, non lasciamoci sorprendere anche noi. Stiamo ben attenti a non addolcire il sapore del Vangelo”.
Perché spesso, per convenienza o per comodità, tendiamo ad attenuare il messaggio di Gesù, ad annacquare le sue parole. Ammettiamolo, siamo diventati piuttosto bravi a fare compromessi con il Vangelo, eh? Sempre fino a qui, fino a là… Compromessi: dare da mangiare agli affamati sì, ma la questione della fame è complessa sai, e non posso certo risolverla io! Aiutare i poveri sì, però poi le ingiustizie vanno affrontate in un certo modo e allora è meglio attendere (…) Stare vicini ai malati e ai carcerati sì sì, ma sulle prime pagine dei giornali e sui social ci sono altri problemi più urgenti e dunque perché proprio io devo interessarmi a loro? Accogliere i migranti sì, davvero, però è una questione generale complicata, riguarda la politica. (…). Tutto ‘sì’, ma alla fine, tutto ‘no’. E così, a forza di “ma” e di “però” – noi tante volte siamo uomini e donne di “ma” e di “però” – a forza di “ma” e di “però” facciamo della vita un compromesso con il Vangelo.
“Da semplici discepoli del Maestro diventiamo maestri di complessità, che argomentano molto e fanno poco”, commenta con decisione il Papa, che “non conoscono per nome neanche un povero”, che non visitano, vestono, sfamano nessuno. Alla domanda rivolta al Signore da giusti e ingiusti “quando mai?” c’è, dunque una sola possibile risposta, dice il Papa:
La risposta è una sola: il quando è adesso, oggi, all’uscita da questa Eucaristia. Adesso, oggi. Sta nelle nostre mani, nelle nostre opere di misericordia: non nelle puntualizzazioni e nelle analisi raffinate, non nelle giustificazioni individuali o sociali. Nelle nostre mani e noi siamo responsabili. Oggi il Signore ci ricorda che la morte giunge a fare verità sulla vita e rimuove ogni attenuante alla misericordia.
“Non possiamo dire di non sapere”, conclude il Papa: il Vangelo ci dice che l’attesa dell’incontro con Dio va vissuta “amando” e che la sorpresa finale “sarà lieta” per noi “se adesso ci lasciamo sorprendere dalla presenza di Dio, che ci aspetta tra i poveri e i feriti del mondo”.
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