Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano per Vaticannews.va
Nell’ affrontare “l’eccesso del male”, i “cumuli di pesi” che ci schiacciano, come con la pandemia e poi con la guerra in Ucraina, ci aiuta la testimonianza di vecchi come Giobbe, che prima grida la sua protesta contro il “mistero del male” ma poi è sicuro che il Signore, nella sua tenerezza, gli renderà giustizia. E questa protesta “a Dio piace”, più della religiosità “che spiega tutto, ma con il cuore freddo”. Così Giobbe “converte il risentimento per la perdita nella tenacia per l’attesa della promessa di Dio”.
Davanti a numerosi fedeli da tutto il mondo, il Papa definisce il Libro di Giobbe, inserito nell’Antico Testamento, “un vertice della letteratura universale” e il patriarca un “testimone della fede che non accetta una ‘caricatura’ di Dio, ma grida la sua protesta di fronte al male, finché Dio risponda e riveli il suo volto”. E Dio alla fine risponde, sottolinea Francesco, “in modo sorprendente: mostra a Giobbe la sua gloria ma senza schiacciarlo, anzi, con sovrana tenerezza”. E invita “a cogliere la forza del grido di Giobbe”.
Ci farà bene metterci alla sua scuola, per vincere la tentazione del moralismo davanti all’esasperazione e all’avvilimento per il dolore di aver perso tutto. Noi ricordiamo la storia? Giobbe che perde tutto nella vita, perde le ricchezze, perde la famiglia, perde il figlio e anche perde la salute e rimane lì, piagato, in dialogo con tre amici, poi un quarto, che vengono a salutarlo.
Quando Dio prende la parola, chiarisce il Pontefice, loda Giobbe “perché ha compreso il mistero della tenerezza di Dio nascosta dietro il suo silenzio”. Ma rimprovera i suoi amici “che presumevano di sapere tutto, di Dio e del dolore, e, venuti per consolare Giobbe, avevano finito per giudicarlo con i loro schemi precostituiti”.
Dio ci preservi da questo pietismo ipocrita e presuntuoso! Da quella religiosità moralistica e quella religiosità di precetti che ci dà una certa presunzione e ti porta al fariseismo e all’ipocrisia.
Tutti, sottolinea ancora Papa Francesco, “abbiamo conosciuto persone così”, e “siamo stati impressionati dal loro grido”, ma spesso anche ammirati “di fronte alla fermezza della loro fede e del loro amore”.
Sono “eccessi del male” che non possiamo, per il Papa, giustificare “come una superiore razionalità della natura e della storia” né benedire “religiosamente come giustificata risposta alle colpe delle vittime, che se li sono meritati”.
Esiste una sorta di diritto della vittima alla protesta, nei confronti del mistero del male, diritto che Dio concede a chiunque, anzi, che è Lui stesso, in fondo, a ispirare. Alle volte io trovo gente che mi si avvicina e mi dice: “Ma, Padre, io ho protestato contro Dio perché ho questo problema, quell’altro …”. Ma, sai, caro, che la protesta è un modo di preghiera, quando si fa così. Quando i bambini, i ragazzi protestano contro i genitori, è un modo per attirare l’attenzione e chiedere che si prendano cura di loro. Se tu hai nel cuore qualche piaga, qualche dolore e ti viene voglia di protestare, protesta anche [contro] Dio, Dio ti ascolta.
“Dio è Padre, Dio non si spaventa della nostra preghiera di protesta” spiega ancora Francesco, che chiede di essere liberi nella preghiera personale, “non imprigionare la tua preghiera negli schemi preconcetti! No! La preghiera dev’essere così, spontanea, come quella di un figlio con il padre, che gli dice tutto quello che gli viene in bocca perché sa che il padre lo capisce”.
Il “silenzio” di Dio, nel primo momento del dramma, significa questo. Dio non si sottrarrà al confronto, ma all’inizio lascia a Giobbe lo sfogo della sua protesta. Forse, a volte, dovremmo imparare da Dio questo rispetto e questa tenerezza. E a Dio non piace quella enciclopedia – chiamiamola così – di spiegazioni, di riflessione che fanno gli amici di Giobbe.
Perché è “quella religiosità che spiega tutto, ma il cuore rimane freddo – chiarisce Francesco – A Dio non piace, questo. Piace più la protesta di Giobbe o il silenzio di Giobbe”. Alla fine, sottolinea, la professione di fede di Giobbe, un “incessante appello a Dio, a una giustizia suprema” si completa con l’esperienza quasi mistica che gli fa dire: “Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto”.
Quanta gente, quanti di noi dopo un’esperienza un po’ brutta, un po’ oscura, dà il passo e conosce Dio meglio di prima! E possiamo dire, come Giobbe, io ti conoscevo un po’ di memoria, o per sentito dire, ma adesso ti ho visto, perché tu ho incontrato.
“I vecchi ne hanno viste tante! – spiega il Pontefice – e hanno visto anche l’inconsistenza delle promesse degli uomini. Uomini di legge, uomini di scienza, uomini di religione persino, che confondono il persecutore con la vittima, imputando a questa la responsabilità piena del proprio dolore”.
I vecchi che trovano la strada di questa testimonianza, che converte il risentimento per la perdita nella tenacia per l’attesa della promessa di Dio, sono un presidio insostituibile per la comunità nell’affrontare l’eccesso del male. Lo sguardo dei credenti che si rivolge al Crocifisso impara proprio questo.
L’ augurio finale di Papa Francesco è che possiamo imparare anche noi questo abbandono fiducioso “da tanti nonni e nonne, da tanti anziani che, come Maria, uniscono la loro preghiera, a volte straziante, a quella del Figlio di Dio che sulla croce si abbandona al Padre”.
Al termine dell’udienza, parlando ai pellegrini di lingua italiana, il Papa ha salutato in particolare i sacerdoti della diocesi di Milano e i diaconi prossimi al sacerdozio di Padova, esortandoli “a rinnovare giorno per giorno la disponibilità a rispondere fedelmente alla chiamata del Signore per un servizio generoso” al popolo di Dio. E dopo di loro l’associazione “Famiglie per l’accoglienza” che si dedica all’adozione, prendendosi cura di bambini e anziani in difficoltà.
Perseverate nella fede e nella cultura dell’accoglienza, offrendo così una bella testimonianza cristiana e un importante servizio sociale. Grazie, grazie per quello che fate.
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