Sapete che Don Camillo e Papa Francesco hanno un modo molto simile di evangelizzare e vivere la fede? Il parroco di campagna che sfida Peppone e il vescovo di Buenos Aires che sta rivoluzionando la Chiesa del terzo millennio sono infatti complementari. Vi spieghiamo il perché attraverso “tre catechesi” elencate in “Don Camillo, un pastore con l’odore delle pecore” (Ancora editrice) di Egidio Bandini.
1) Il Bambino Gesù
Se si potesse mettere, in un’immaginaria classifica, ciò che più li accomuna, al primo posto ci sarebbe la vicinanza, la comunione, il dialogo, la fratellanza con Gesù.
Prendiamo il Bambino Gesù. Ecco una frase dal discorso del Santo Padre in occasione dell’udienza a una delegazione di ragazzi dell’Azione Cattolica Italiana, il 20 dicembre 2013: «Nel volto del piccolo Gesù contempliamo il volto di Dio, che non si rivela nella forza, nella potenza, ma nella debolezza e nella fragilità di un neonato. Così è il nostro Dio, si avvicina tanto, in un bambino».
Ed ecco lo straordinario racconto Giallo e rosa, che Giovannino Guareschi ambienta nella settimana che precede il Natale, con don Camillo che rinfresca con il pennellino, la biacca e i colori le statuine del Presepio, da collocare come ogni anno, con il massimo riguardo, in chiesa.
Il pretone sta pitturando il volto di san Giuseppe, anche perché, naturalmente, è la Sacra Famiglia quella che, nel Presepio, deve avere più risalto, ed è anche quella cui la gente guarda con più attenzione. Ecco allora che don Camillo, visto che Peppone pare aver fretta di intavolare una certa discussione, mette fra le mani del sindaco la statuetta di Gesù Bambino. Sulle prime Peppone finge di ribellarsi, dicendo che il parroco non può approfittarsi di lui per quel lavoro ma poi, visto che don Camillo è passato a ritoccare il viso della Vergine, prende il pennellino e, con la sua grande abilità nel rifinire le cose più minute, si mette a ricolorire le gote del Bambinello.
Si ritrovano d’accordo nel più profondo del loro cuore, i due avversari-amici: d’accordo anche nel lavoro di ricolorare le statuine del Presepio e, anzi, forse è proprio questo che li fa entrare talmente in sintonia dal confidarsi ognuno le proprie angosce, le proprie paure. Peppone esprime così a don Camillo tutte le inquietudini del suo cuore: di un cuore fiero e combattivo, che si apre, però, al solo contatto con quel piccolo neonato i cui occhi lo guardano, mentre le mani da fabbro usano il colore per dare nuova luce allo sguardo di chi la luce l’ha portata al mondo intero.
2) Il Padre non ci abbandona mai
Gesù Bambino, il Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo, il Bambinello che le manacce di Peppone hanno ripitturato prima di Natale: è lui al centro dell’attenzione di papa Francesco, il Bambino che diventa Uomo e si dona, fino alla morte, per ognuno di noi.
Ecco le parole del Santo Padre, nel discorso pronunciato il 15 settembre 2013, durante l’Angelus in Piazza San Pietro: «Gesù è tutto misericordia, Gesù è tutto amore: è Dio fatto uomo. Ognuno di noi, ognuno di noi, è quella pecora smarrita, quella moneta perduta; ognuno di noi è quel figlio che ha sciupato la propria libertà seguendo idoli falsi, miraggi di felicità, e ha perso tutto. Ma Dio non ci dimentica, il Padre non ci abbandona mai».
Viene subito alla mente uno dei più suggestivi dialoghi fra don Camillo e il Crocifisso dell’altar maggiore, una delle più intime conversazioni fra il sacerdote e il suo Dio.
“Don Camillo, non t’angustiare” rispose con dolcezza il Cristo. “L’eroismo del soldato di Cristo è l’umiltà e il suo vero nemico è l’orgoglio. Don Camillo, guarda il tuo Dio. Guarda le sue misere, ignude carni martoriate e l’oltraggiosa corona di spine che reca sul suo capo. Non è, forse, un povero Cristo?”
“Signore” insisté don Camillo levando gli occhi verso il Cristo Crocifisso “io vi guardo, ma i miei occhi vedono solo la divina luce del Vostro sublime sacrificio. Nessuna luce, neppure la tenue fiammella d’uno zolfanello, rischiara, invece, la trista figura del ‘compagno don Camillo’”.
Il riconoscere, comunque, la presenza di Cristo: ecco ciò che Guareschi vuol dirci. Grazie alla nostra somiglianza con Gesù, uomo come noi, riscopriamo la misericordia del Padre e com- prendiamo quale sia il suo amore per noi.
3) Una Misericordia sconfinata
È la misericordia sconfinata di Gesù, l’umanità divina di Cristo che non solo perdona don Camillo, ma dopo avergli fatto capire che, a volte, premia più la rinuncia che la conquista, lo lascia esprimere la propria gioia d’istinto, secondo la natura semplice e a tratti ingenua del “prete di campagna” di cui parla papa Francesco.
Perché, sono ancora parole del Pontefice durante la Messa nella chiesa di Sant’Anna in Vaticano, il 17 marzo 2013: «Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono».
Ci vuol poco a don Camillo per capire che cosa sia davvero importante agli occhi di Cristo e lui, questo prete gigantesco, chiede a Gesù perdono e si rallegra della misericordia di Dio a modo suo: esattamente come farebbe ognuno di noi. Ma don Camillo, come il suo autore, ha ricevuto una grande grazia: può parlare con Gesù.
Giovannino Guareschi, addirittura, tramite la propria coscienza, arriva a capire quando il Signore è contento o scontento di noi, delle nostre azioni. Sì, perché il modo che ha don Camillo di relazionarsi con il Cristo è lontanissimo da quello che si potrebbe immaginare essere il “canone” per un sacerdote: don Camillo si rivolge a Gesù proprio come a Lui ci rivolgeremmo noi.
Con l’ingenuità e, spesso, la spontaneità umane, convinti che Cristo, alla fin fine, sia talmente buono non solo da perdonare e soccorrerci comunque, ma anche dall’arrivare a fingere di lasciarsi ingannare. Lo specchio di questa umanissima maniera di rivolgersi a Gesù, da parte di Guareschi-don Camillo è il racconto Cinque più cinque, uno dei tanti racconti drammatici della serie di “Mondo piccolo”.
Fonte it.aleteia.org/Gelsomino Del Guercio
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