Tiziana Campisi – Città del Vaticano per Vaticannews.va
L’incontro con l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani è l’occasione, per Francesco, per ringraziare tutti i sindaci, in particolare, per il loro lavoro in questi due anni di pandemia. Ricevendoli in udienza il Papa evidenzia quanto la loro presenza abbia incoraggiato “le persone a continuare a guardare avanti”, anche perché “punto di riferimento nel far rispettare normative a volte gravose, ma necessarie per la salute dei cittadini” e ricorda l’aiuto che i primi cittadini hanno offerto a quanti avevano responsabilità legislative, perché prendessero decisioni tempestive per il bene di tutti.
Il Pontefice riconosce quanto complesso sia il compito cui i sindaci sono chiamati: stare vicino alla gente a servizio del bene comune ma al contempo sentire “la solitudine della responsabilità”. E osserva come spesso “la democrazia si riduca a delegare col voto, dimenticando il principio della partecipazione, essenziale perché una città possa essere bene amministrata”. Francesco considera che “si pretende che i sindaci abbiano la soluzione a tutti i problemi”, che tuttavia “non si risolvono solo ricorrendo alle risorse finanziarie”, e spiega:
Quanto è importante poter contare sulla presenza di reti solidali, che mettano a disposizione competenze per affrontarle! La pandemia ha fatto emergere tante fragilità, ma anche la generosità di volontari, vicini di casa, personale sanitario e amministratori che si sono spesi per alleviare le sofferenze e le solitudini di poveri e anziani. Questa rete di relazioni solidali è una ricchezza che va custodita e rafforzata.
E offre tre parole di incoraggiamento all’Anci, Francesco: paternità – o maternità -, periferie, pace. Evidenzia, anzitutto che “il servizio al bene comune è una forma alta di carità, paragonabile a quello dei genitori in una famiglia” e suggerisce che “anche in una città, a situazioni differenti si deve rispondere con attenzioni diversificate”, ascoltando i problemi delle persone e cercando di “capire le priorità su cui intervenire, senza concentrarsi sulla necessità di finanziamenti adeguati.
In realtà, occorre anche un progetto di convivenza civile e di cittadinanza: occorre investire in bellezza laddove c’è più degrado, in educazione laddove regna il disagio sociale, in luoghi di aggregazione sociale laddove si vedono reazioni violente, in formazione alla legalità laddove domina la corruzione. Saper sognare una città migliore e condividere il sogno con gli altri amministratori del territorio, con gli eletti nel consiglio comunale e con tutti i cittadini di buona volontà è un indice di cura sociale.
Non manca il pensiero del Papa per le periferie. Francesco ne sottolinea la centralità evangelica, rammentando che Gesù è nato in una stalla a Betlemme ed è morto fuori dalle mura di Gerusalemme sul Calvario. E se sovente i sindaci si trovano dinanzi a “periferie degradate, dove la trascuratezza sociale genera violenza e forme di esclusione”, partire dalle periferie, da dove si vede meglio la totalità, suggerisce il Pontefice, “non vuol dire escludere qualcuno”, ma “partire dai poveri per servire il bene di tutti”:
Non c’è città senza poveri. Aggiungerei che i poveri sono la ricchezza di una città. Questo a qualcuno sembrerebbe cinico: no, non è così; ci ricordano – loro, i poveri – ci ricordano le nostre fragilità e che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Ci chiamano alla solidarietà, che è un valore-cardine della dottrina sociale della Chiesa, particolarmente sviluppato da San Giovanni Paolo II.
Il Papa cita un particolare nel contesto sociale emerso in tempo di pandemia: “solitudini e conflitti all’interno delle case”, “il dramma di chi ha dovuto chiudere la propria attività economica, l’isolamento degli anziani, la depressione di adolescenti e giovani, l’aumento dei suicidi, le disuguaglianze sociali che hanno favorito chi godeva già di condizioni economiche agiate, le fatiche di famiglie che non arrivano a fine mese”, il rischio di finire nelle mani degli usurai. Dal Papa è forte l’invito ad aiutare le periferie, perché si trasformino “in laboratori di un’economia e di una società diverse”. Perché, fa notare Francesco, “non basta dare un pacco alimentare”; la dignità di chi è nel bisogno chiede, invece, un lavoro, “un progetto in cui ciascuno sia valorizzato per quello che può offrire agli altri, poiché il lavoro, “guadagnare il pane”, “è unzione di dignità”.
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