Papa Francesco ha incontrato stamani il cardinale Fernando Filoni, rientrato ieri a Roma dopo la sua missione in Iraq quale suo inviato personale. Il porporato è rimasto oltre una settimana nel Paese per portare la solidarietà concreta del Papa agli sfollati iracheni, cacciati dalle loro case dalla violenza jihadista. Sull’incontro con il Papa, ascoltiamo lo stesso cardinale Filoni al microfono di Sergio Centofanti per la Radio Vaticana:
R. – È stato molto bello perché il Papa ha voluto subito accogliermi appena ritornato – questo mostra la sua sensibilità – per conoscere direttamente da me ciò che ho visto e ciò che ho sentito dopo aver visitato i nostri cristiani, gli yazidi, in questa settimana che sono stato in Iraq. Quindi era molto attento. Il Papa ha preferito l’ascolto; mi ha lasciato parlare ampiamente e ovviamente ha preso a cuore tutte le situazioni di cui gli ho parlato: le attese dei nostri cristiani, le preoccupazioni e quelle che sono un po’ le linee della Chiesa. Ha appreso con piacere le linee che sono state adottate da parte della Chiesa locale. Posso dire che l’incontro è stato bello; il Santo Padre era molto attento e partecipe di quello che gli ho detto.
D. – C’è stata qualche parola del Papa che l’ha colpita in particolare?
R. – Come dico, il Santo Padre era molto preso da quanto gli dicevo e ha preferito l’ascolto.
D. – Lei è stato tra queste minoranze, tra i cristiani e anche tra gli yazidi. Il problema oggi è come aiutare questi sfollati, come fermare l’aggressore…
R. – Intanto, credo che ormai tutti siano consapevoli dell’urgenza immediata di sistemare queste famiglie sfollate. Credo che ormai tutti abbiano potuto vedere la situazione in cui vivono: dovunque c’è un prato, una stanza, un luogo messo a loro disposizione, questo è stato occupato; tutto questo tenendo naturalmente presente che durante il periodo più caldo di tutto l’anno – con 47-48 gradi – i ripari, la necessità di avere acqua, la necessità di lavarsi, di stare un po’ all’ombra … sono cose da tenere assolutamente in modo immediato per favorire questa gente, soprattutto bambini, anziani, ammalati … Favorire questa gente, offrire loro un riparo. Poi, dopo di questo, tutti giustamente si domandano quanto durerà questa situazione, cosa ci aspetta. E su questo ovviamente abbiamo le speranze, ma poi dobbiamo vedere nella realtà. Certo, i nostri cristiani, tantissimi dei quali desiderano ritornare, aspirano a vedere però che i villaggi – ritornando – abbiano una cintura di sicurezza – chiedono che sia possibilmente internazionale – che garantisca loro la ripresa di una vita normale.
D. – Ora la crisi irachena sembra giunta ad una svolta, dopo la barbara uccisione del giornalista americano che ha destato l’orrore un po’ di tutto il modo. Lei come vede la situazione?
R. – Rimango un po’ con i piedi per terra, perché fino a quando i villaggi sono occupati, la gente non riprende la fiducia, non comincia a ritornare, a riprendere le proprie case, le proprie cose e attività, possiamo fare solo supposizioni. Quindi se c’è un inizio speriamo che si concretizzi; speriamo che questa certezza ritorni e che questa cintura di sicurezza venga loro garantita. Solo allora la questione sarà effettivamente a buon punto.
D. – La sua missione è stata una missione delicata, difficile, anche faticosa. Un bilancio di questo viaggio …
R. – Direi che la mia missione è stata soprattutto e prima di tutto – per non dire esclusivamente – di tipo umanitario. Quindi, da questo punto di vista, non ci sono state questioni politiche o di altro genere che rientravano nell’ambito della mia missione. Sono contento di aver potuto fare questa missione umanitaria, perché per me è stato un ritorno in questa terra che conosco e che amo da tanto tempo, rivedere ancora tante persone che sono impegnate in attività di aiuto, e poi dare anche una parola di speranza, di fiducia, di incoraggiamento. Loro avevano bisogno di farsi sentire. Quindi ascoltarli è stato molto utile per conoscere le loro aspirazioni; ma è stato utile anche perché per loro è stato come uno sfogo: “Chi ascolta le nostre preoccupazioni? Chi le sente?”. Quindi poi poterle riportare, poterle divulgare, farle conoscere, diventa anche un modo per dire a questi nostri fratelli e sorelle: “Non è che voi non siete ascoltati, siete sempre all’apice delle nostre attenzioni”. Per me è stato poi un momento molto bello anche spiritualmente, perché essere accanto alla sofferenza di tanti fratelli e sorelle aiuta a non vedere questi problemi da lontano come delle cose che non ci riguardano, e quindi ad esserne partecipi. Devo dire che in questo sono stato ricambiato con tanto affetto, con tanta generosità, con il sorriso di tanti bambini, con la gentilezza di tanti uomini e donne che venivano a farsi accarezzare, che volevano baciare la mano, l’anello, ricevere una benedizione, chiedere una preghiera … Questo è stato molto bello ed emozionante.
D. – Si parla di 120-130 mila sfollati. Noi parliamo di cifre, lei ha visto dei volti …
R. – Le immagini certamente più vive sono quelle relative alle persone che hanno perso tutto, ma direi ancora di più: chi ha perso tutto, ma ha avuto salva la vita e comunque non ha avuto danni rispetto a parenti ed amici è già – si può dire – una fortuna. Ma quando si incontrano uomini, donne, bambini, anziani soprattutto insieme a bambini, ad alcune donne che hanno avuto delle vittime – parlo in modo particolare della comunità degli yazidi, dove uomini sono stati uccisi, e donne sono state rapite, violate, vendute – questo naturalmente è angosciante. I loro volti erano quelli di gente che guardano nel vuoto, dispersi in un futuro che non ha un modo di essere comprensibile. Pensiamo, ad esempio, che una donna in Medio Oriente ha sempre bisogno della presenza di un uomo – di un papà, di un fratello, di uno sposo – che sia quasi la garanzia della sua vita secondo la cultura. Ora, chi non ha più una persona – un uomo – che possa curarsi di lei, quale sarà il suo futuro? Non è come in Occidente, dove una donna può anche costruirsi una vita con le proprie capacità e con la propria forza. Quindi questo diventa molto, molto penoso; lo sguardo di queste donne sedute, accasciate, prive di espressione, era molto impressionante.
D. – A questo punto, quali sono le sue speranze concrete?
R. – Le mie speranze concrete le condivido con quelle di questa gente. Se noi riusciamo a dare loro una sicurezza per ritornare, questa speranza è anche la mia.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana