«Norma fondamentale è, d’ora in avanti, quella di pregare comprendendo le singole frasi e parole, di completarle con i nostri sentimenti personali, e di uniformare questi all’anima della comunità, che fa coro con noi». Il 7 marzo del 1965 Papa Paolo VI, nell’omelia pronunciata nella chiesa di Ognissanti, usava il plurale di maestà per riferirsi alla propria persona. Un antico retaggio quasi stridente con la portata delle parole, testimoni del grande cambiamento introdotto dalle norme liturgiche del Concilio Vaticano II. Quel giorno, Papa Montini, rivolto verso l’assemblea, celebrava la prima Messa in italiano.
A 50 anni esatti, il prossimo 7 marzo, Papa Francesco tornerà nella parrocchia di via Appia Nuova per ricordare quel giorno. Lo farà con una Messa, alle 18, al termine di una breve visita che inizierà con l’accoglienza da parte del cardinale vicario Agostino Vallini, del cardinale titolare di Ognissanti, Walter Kasper, del vescovo ausiliare Giuseppe Marciante e degli Orionini don Flavio Peloso, superiore generale della congregazione, e il parroco di Ognissanti, don Francesco Mazzitelli. La visita di Papa Francesco coinciderà, infatti, anche con il 75mo anniversario dalla morte di san Luigi Orione al quale venne affidata la parrocchia da san Pio X.
Era il 1908 quando Papa Sarto comunicava a san Luigi l’intenzione di inviarlo in quella che definiva la «Patagonia romana» per il suo stato di grandi necessità materiali e spirituali. Adesso la parrocchia sorge su un territorio abitato da 16mila persone; le povertà non sono più quelle di un tempo anche se le opere di carità degli orionini continuano a tenere in grande considerazione chi non ha pane e un tetto. «Continuiamo a essere accanto agli ultimi con la casa di accoglienza per i poveri – dice il parroco, don Mazzitelli -, nella quale vengono ospitate, da gennaio a maggio, 20 donne senza fissa dimora». Tutti i venerdì, poi, i volontari del Movimento orionino portano la cena a più di 200 senzatetto alla stazione Ostiense.
«Don Orione ripeteva che la carità rende credibile il Vangelo – ricorda don Mazzitelli -. Forse proprio in virtù di questa nostra vicinanza alla gente, Paolo VI volle venire a celebrare qui la prima Messa in italiano. L’arrivo di Francesco rinnova il nostro impegno a far entrare la liturgia nel cuore della gente». Un avvicinamento, quello tra liturgia e assemblea, sottolineato anche da don Flavio Peloso, superiore generale degli Orionini: «Nella Messa di 50 anni fa si avviava quella riforma che si sarebbe completata nel 1970. Ma da subito i fedeli apprezzarono l’avvicinamento della Chiesa al popolo grazie all’uso della lingua parlata e alla posizione del sacerdote rivolto verso l’assemblea. Erano questi gli elementi che favorivano quella partecipazione attiva di cui parlavano i Padri conciliari».
A Papa Francesco, che celebrerà con la stessa pisside, lo stesso leggio per il messale e gli stessi candelabri usati da Paolo VI nel ’65 «dirò – conclude don Peloso – che siamo contenti di rendere viva, ogni giorno, la riforma liturgica del Concilio Vaticano II e chiederò di benedire il nostro impegno quotidiano di avvicinare la Chiesa al popolo». Con la Messa a Ognissanti, Papa Francesco ricorderà quello che è l’aspetto «più visibile della riforma liturgica: il grande cambiamento rappresentato dall’introduzione della lingua parlata nella celebrazione». A dirlo è padre Giuseppe Midili, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano, che sul tema ha promosso venerdì con Opera don Orione e il Pontificio istituto liturgico il convegno “Uniti nel rendimento di grazie”.
«Il tema sta molto a cuore a un Papa che ricorda continuamente l’importanza della evangelizzazione. Senza una lingua comprensibile, qualsiasi sforzo in questo senso verrebbe vanificato. Con la sua presenza a Ognissanti, Francesco ci invita a valorizzare la forza evangelizzatrice della liturgia per la Chiesa di oggi». Il Concilio – conclude padre Midili – «ci ha insegnato che la celebrazione liturgica è incontro privilegiato con Cristo, è l’azione sacra per eccellenza che ci permette di uscire dal tempo per partecipare alla morte e alla resurrezione di Cristo».
di Christian Giorgio per Roma Sette
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