Papa Francesco è rientrato a casa in Vaticano, ma lascia un messaggio forte e chiaro – come sempre – a Bologna, all’Italia ed alla Chiesa intera. 3P. Infatti al termine dell’omelia allo stadio Dall’Ara dove, questo pomeriggio a conclusione del suo viaggio a Cesena e Bologna, ha parlato delle tre “P”, “tre punti di riferimento”, tre “alimenti-base” per vivere: Parola, Pane e poveri.
La Parola come “bussola per camminare umili, per non perdere la strada di Dio e cadere nella mondanità”, il Pane eucaristico, perché “dall’Eucaristia tutto comincia” e infine la “P” dei poveri, coloro ai quali manca il necessario e coloro, ma anche chi è povero di affetto, le persone sole, i poveri di Dio. “In tutti loro – ha sottolineato – troviamo Gesù” e sostegno per “il nostro cammino”.
Francesco ha sottolineato che “la vita cristiana è un cammino umile di una coscienza” che non è “mai rigida” ed è sempre in rapporto con Dio. Una coscienza che “sa pentirsi e affidarsi a Lui nelle sue povertà, senza mai presumere di bastare a sé stessa”.
“Pentirsi” è la parola chiave per non cadere “nell’ipocrisia, la doppiezza di vita, il clericalismo che si accompagna al legalismo, il distacco dalla gente”. Nel cammino di ciascuno, ha proseguito, ci sono due strade: “essere peccatori pentiti o peccatori ipocriti”. Per il Papa però quel che conta “non sono i ragionamenti che giustificano e tentano di salvare le apparenze, ma un cuore che avanza col Signore, lotta ogni giorno, si pente e ritorna a Lui. Perché il Signore cerca puri di cuore, non puri “di fuori”.
INTENSO IL DIALOGO CON GLI STUDENTI UNIVERSITARI
“La ricerca del bene, infatti, è la chiave per riuscire veramente negli studi; l’amore è l’ingrediente che dà sapore ai tesori della conoscenza e, in particolare, ai diritti dell’uomo e dei popoli. Con questo spirito vorrei proporvi tre diritti, che mi sembrano attuali.”
Ed è proprio su tre diritti “attuali” che Francesco centra il suo discorso col mondo universitario bolognese.
Il diritto alla cultura, innanzitutto, che è “accesso allo studio”, ma anche tutela di un “sapere umano e umanizzante” e non un sapere che si mette al “servizio del migliore offerente”, che “alimenta divisioni e giustifica sopraffazioni”. Questo, afferma con forza il Papa, “non è cultura”. Dunque il compito degli univeristari oggi è: “rispondere ai ritornelli paralizzanti del consumismo culturale con scelte forti, con la conoscenza e la condivisione”.
LE PAROLE AI RELIGIOSI
Il Papa ha parlato a braccio incontrando i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi del Seminario Regionale e i diaconi permanenti, nella Cattedrale di San Pietro a Bologna, in un clima di grande familiarità e dialogo.
Rispondendo alla prima domanda, posta da un sacerdote sulla opportunità di alimentare l’esigenza evangelica della fraternità, Francesco si è soffermato sull’importanza per ogni religioso di vivere a fondo la diocesanità, carisma proprio e imprescindibile di ogni sacerdote diocesano. Essa, ha detto, “è una esperienza di appartenenza, vuol dire che non sei libero, ma sei un uomo che appartiene a un corpo. Credo che questo lo dimentichiamo tante volte, perché senza coltivare questo spirito di diocesaneità diventiamo troppo ‘singoli’, troppo soli con il pericolo di essere anche infecondi, nervosi…”
La diocesaneità, ha aggiunto il Pontefice, ha anche una dimensione di sinodalità con il vescovo: “quel corpo ha una forza speciale e quel corpo deve andare avanti sempre con la trasparenza. Il ‘compromesso’ della trasparenza, ma anche la virtù della trasparenza, ma la trasparenza cristiana come la vive Paolo cioè: il coraggio di parlare, di dire tutto. Paolo sempre andava avanti con questo coraggio”.
No all’ipocrisia clericale e al clericalismo, ha rimarcato Francesco, suggerendo ai religiosi di essere pastori di popolo, che curano il gregge. Essere Pastore di Popolo ha chiarito “Non vuol dire essere un populista: no. Pastore di popolo, cioè vicino al popolo perché è stato inviato lì a far crescere il popolo, a insegnare al popolo, a santificare il popolo, ad aiutarlo a trovare Gesù Cristo … Invece, il pastore che è troppo clericale assomiglia a quei farisei, a quei dottori della legge, a quei sadducei del tempo di Gesù: ‘Soltanto la mia teologia, il mio pensiero, quello che si deve fare, quello che non si deve fare’, chiuso lì e il popolo è là. Mai interloquire con la realtà di un popolo.
Il Papa ha voluto portare un esempio concreto rifancendosi al pranzo vissuto coi poveri: “A me oggi è piaciuto il pranzo: non tanto perché la lasagna fosse tanto buona, ma mi è piaciuta perché lì c’era il popolo di Dio, anche i più poveri, lì, e i pastori erano lì, tutti in mezzo al popolo di Dio. Il pastore deve avere un rapporto – e questa è sinodalità – un triplice rapporto con il popolo di Dio: avanti, per far vedere la strada; diciamo il pastore catechista, il pastore che insegna la strada. In mezzo, per conoscerli: vicinanza; il pastore è vicino, in mezzo al popolo di Dio. Anche, dietro per aiutare quelli che rimangono in ritardo e anche alle volte per lasciare il popolo vedere perché, sa – annusa bene popolo, eh? – per vedere quale strada scegliere. Muoversi nelle tre direzioni: avanti, in mezzo e dietro. E un bravo pastore deve andare in questo movimento”.
La diocesaneità, il rapporto tra noi sacerdoti, il rapporto con il vescovo, con il coraggio di parlare di tutto, e di sopportare tutto, ci aiuta a non cadere nel clericalismo – ha aggiunto il Papa rimarcando come il clericalismo sia uno dei peccati più forti. “E’ triste quando un pastore non ha orizzonte di popolo. E’ molto triste quando le chiese rimangono chiuse – alcune devono rimanere chiuse – ma quando si vede una scheda lì sulla porta: da tal ora a tal ora, poi non c’è nessuno. Confessioni soltanto in tal giorno da tale ora a tale ora. Ma tu … non è un ufficio del sindacato, eh? E’ il posto dove tu viene ad adorare il Signore. Ma se un fedele vuole adorare il Signore e trova la porta chiusa, dove va a farlo? Pastori con orizzonte di popolo: questo vuol dire “come faccio io per essere vicino al mio popolo”.
Francesco si è poi voluto soffermare su due vizi che intaccano la vita consacrata: il più frequente è quello del chiacchiericcio: sporcare la fama del fratello, con le chicchiere e il lamento. L’altro è il pensare il servizio presbiterale come carriera ecclesiastica. “Mi riferisco – ha proseguito – a un vero atteggiamento arrampicatore. Ma questo è peste, in un presbiterio. Ci sono due pesti forti: questa è una. Gli arrampicatori. Che cercano di farsi strada e sempre hanno le unghie sporche, perché vogliono andare su. Un arrampicatore è capace di creare tante discordie nel seno di un corpo presbiterale… Gli arrampicatori fanno tanto male all’unione comunitaria del presbiterio: tanto male, perché sono in comunità ma facendo così per andare avanti loro”.
Ancora il Papa ha risposto ad un’altra domanda sui passi da compiere per mettersi nella prospettiva di Cristo, essendo testimoni di gioia e speranza capaci di toccare le piaghe dei fratelli rifuggendo la psicologia della sopravvivenza.
“Cadere nella psicologia della sopravvivenza – ha affermato Bergoglio – è come ‘aspettare la carrozza’, la carrozza funebre. Aspettiamo che arrivi la carrozza e porti il nostro istituto. E’ un pessimismo speranzato, non è di uomini e donne di fede, questo. Nella vita religiosa, aspettare la carrozza non è un atteggiamento evangelico: è un atteggiamento di sconfitta…Questa psicologia della sopravvivenza porta a mancanza di povertà. E’ cercare la sicurezza nei soldi. E questa è la strada più adatta per portarci alla morte”.
Il Papa ha poi invitato i religiosi a fare un esame di coscienza su come vivono la povertà: “La sicurezza, nella vita consacrata, non è data né dalle vocazioni né dall’abbondanza di soldi; la sicurezza viene da un’altra parte. Tante congregazioni diminuiscono, mentre i loro beni ingrandiscono. Tu vedi quei religiosi o religiose attaccati ai soldi come sicurezza. Questo è il midollo della psicologia della sopravvivenza: cioè, sopravvivo, sono sicuro perché ho dei soldi. E il problema non è tanto nella castità o nell’obbedienza: no. E’ nella povertà. La psicologia della sopravvivenza ti porta a vivere mondanamente, con speranze mondane, non a mettere sulla strada della speranza divina, la speranza di Dio. Ma i soldi sono davvero una rovina, per la vita consacrata”.
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Quanto alla necessità di toccare le piaghe di Gesù nelle piaghe del mondo, il Papa ha proposto la strada dell’abbassamento, praticata da Cristo, abbassarsi con il popolo di Dio, con quelli che soffrono, con quelli che non ti possono dare nulla. “Soltanto avrai la forza della preghiera: questa – ha concluso il Papa – al contrario della psicologia della sopravvivenza che si alimenta di pessimismo – è invece la strada che conduce al Regno di Dio. Non è chiusa, senza orizzonti, senza popolo, ma è aperta, con orizzonti fecondi. Ai religiosi l’esortazione finale: la vita consacrata sia uno schiaffo alla mondanità.
di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana