A Cracovia il Pontefice celebra la Messa con sacerdoti, religiosi, consacrati e seminaristi polacchi nel santuario di San Giovanni Paolo II. E scandisce: evitare ogni doppiezza, curare i bisognosi, vicini o lontani, ammalati e migranti
Chi ha scelto di conformare tutta l’esistenza a Gesù «fugge le situazioni appaganti che lo metterebbero al centro, non si erge sui traballanti piedistalli dei poteri del mondo e non si adagia nelle comodità che infiacchiscono l’evangelizzazione; non spreca tempo a progettare un futuro sicuro e ben retribuito, per non rischiare di diventare isolato e cupo, rinchiuso nelle pareti anguste di un egoismo senza speranza e senza gioia». Nella messa con sacerdoti, religiosi, consacrati e seminaristi polacchi, nel santuario di San Giovanni Paolo II a Cracovia, il Papa sprona la Chiesa polacca a non «rimanere un po’ rinchiusi, per timore o per comodità», nei propri ambiti; ad attuare «un discernimento vigile e costante, sapendo che il cuore va educato ogni giorno, a partire dagli affetti, per fuggire ogni doppiezza negli atteggiamenti e nella vita»; e a prendersi misericordiosamente cura dei fratelli e delle sorelle che sono nel bisogno, «dei vicini come dei lontani, dell’ammalato come del migrante».
A partire dal Vangelo odierno su San Tommaso, il Papa ha scandito la sua omelia in base a tre parole-chiave. Il luogo chiuso dove si trovavano i discepoli la sera di Pasqua, innanzitutto. Per contrasto, «Gesù manda. Lui desidera, fin dall’inizio, che la Chiesa sia in uscita, vada nel mondo»: «Questa chiamata è anche per noi. Come non sentirvi l’eco del grande invito di san Giovanni Paolo II: “Aprite le porte!”? Tuttavia, nella nostra vita di sacerdoti e consacrati può esserci spesso la tentazione di rimanere un po’ rinchiusi, per timore o per comodità, in noi stessi e nei nostri ambiti. La direzione che Gesù indica è però a senso unico: uscire da noi stessi. E’ un viaggio senza biglietto di ritorno». Gesù «non ama le strade percorse a metà, le porte lasciate socchiuse, le vite a doppio binario». Per questo, «la vita dei suoi discepoli più intimi, quali siamo chiamati ad essere, è fatta di amore concreto, cioè di servizio e disponibilità; è una vita dove non esistono spazi chiusi e proprietà private per i propri comodi. Chi ha scelto di conformare tutta l’esistenza a Gesù non sceglie più i propri luoghi, ma va là dove è mandato; pronto a rispondere a chi lo chiama, non sceglie più nemmeno i propri tempi. La casa dove abita non gli appartiene, perché la Chiesa e il mondo sono i luoghi aperti della sua missione. Il suo tesoro è porre il Signore in mezzo alla vita, senza ricercare altro per sé. Fugge così le situazioni appaganti che lo metterebbero al centro, non si erge sui traballanti piedistalli dei poteri del mondo e non si adagia nelle comodità che infiacchiscono l’evangelizzazione; non spreca tempo a progettare un futuro sicuro e ben retribuito, per non rischiare di diventare isolato e cupo, rinchiuso nelle pareti anguste di un egoismo senza speranza e senza gioia
».
La seconda figura-chiave evidenziata dal Papa è san Tommaso, che «nella sua ansia di voler capire», «un po’ ci assomiglia e ci risulta anche simpatico», e alla fine «ci fa un grande regalo: ci porta più vicino a Dio, perché Dio non si nasconde a chi lo cerca». In questo senso, “il discepolo non esita a porsi domande, ha il coraggio di abitare il dubbio e di portarlo al Signore, ai formatori e ai superiori, senza calcoli e reticenze. Il discepolo fedele attua un discernimento vigile e costante, sapendo che il cuore va educato ogni giorno, a partire dagli affetti, per fuggire ogni doppiezza negli atteggiamenti e nella vita».
Infine, il libro del Vangelo: «Si potrebbe dire che il Vangelo, libro vivente della misericordia di Dio, che va letto e riletto continuamente, ha ancora delle pagine bianche in fondo: rimane un libro aperto, che siamo chiamati a scrivere con lo stesso stile, compiendo cioè opere di misericordia», ha detto Francesco. «Vi domando: le pagine del libro di ciascuno di voi, come sono? Sono scritte ogni giorno? Sono scritte un po’ sì e un po’ no? Sono in bianco?», ha domandato Francesco, pregando che «la nostra Madre di misericordia ci insegni a prenderci cura concretamente delle piaghe di Gesù nei nostri fratelli e sorelle che sono nel bisogno, dei vicini come dei lontani, dell’ammalato come del migrante, perché servendo chi soffre si onora la carne di Cristo».
Questa mattina il Papa è giunto alle 8.15 al santuario della Divina misericordia, a Lagiewniki, costruito all’epoca di Giovanni Paolo II attorno al convento di suor Faustina Kowalska, mistica della «divina misericordia» molto cara a Karol Wojtyla, che la beatificò e canonizzò. Sui terreni del santuario si trovavano gli stabilimenti di soda Solvay dove lavorò il giovane Karol Wojtyla durante la seconda guerra mondiale. Francesco ha visitato il convento, accolto dalle suore di Nostra Signora della misericordia e dalle ragazze che assistono, fermandosi in preghiera nella cappella di santa Faustina. «Misericordia chiero y no sacrificios», misericordia io voglio e non sacrifici, le parole scritte dal Papa sul libro d’onore.
Francesco si è poi recato al santuario, fermandosi a salutare in spagnolo un gruppo di ragazzi che lo attendevano sul «prato delle confessioni»: «Il Signore oggi vuole farci sentire più profondamente la sua misericordia. Non ci allontaniamo mai da Gesù. Nonostante pensiamo che per i nostri peccati o per le nostre mancanze siamo il peggio, lui si preferisce così e ci inonda con la sua misericordia».
di Iacopo Scaramuzzi per Vatican Insider
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