Dopo la pausa estiva, Papa Francesco riprende le Udienze Generali. In Aula Paolo VI – Piazza San Pietro è troppo assolata per ricevere i fedeli in questi giorni – il Pontefice riprende le catechesi sugli Atti degli Apostoli. “Negli Atti degli Apostoli la predicazione del Vangelo non si affida solo alle parole, ma anche ad azioni concrete che testimoniano la verità dell’annuncio”, inIzia Francesco.
Francesco spiega: “Ci troviamo oggi dinanzi al primo racconto di guarigione del Libro degli Atti. Esso ha una chiara finalità missionaria, che punta a suscitare la fede. Pietro e Giovanni vanno a pregare al Tempio, centro dell’esperienza di fede d’Israele, a cui i primi cristiani sono ancora fortemente legati. E alla porta del Tempio detta Bella vedono un mendicante, un uomo paralitico fin dalla nascita. La Legge mosaica impediva di offrire sacrifici a chi avesse menomazioni fisiche, ritenute conseguenza di qualche colpa. E in seguito era stato negato loro persino l’accesso al Tempio. Lo storpio, paradigma dei tanti esclusi e scartati della società, è lì a chiedere l’elemosina come ogni giorno”.
“Quel mendicante, incontrando gli Apostoli – osserva il Pontefice – non trova denaro ma il Nome che salva l’uomo: Gesù Cristo il Nazareno. Qui appare il ritratto della Chiesa, che vede chi è in difficoltà, non chiude gli occhi, sa guardare l’umanità in faccia per creare relazioni significative, ponti di amicizia e di solidarietà al posto di barriere
“.“Le parrocchie pensano che sono più importanti i soldi che i sacramenti – dice a braccio il Papa – per favore Chiesa povera, chiediamo al Signore quello…”
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Negli Atti degli Apostoli la predicazione del Vangelo non si affida solo alle parole, ma anche ad azioni concrete che testimoniano la verità dell’annuncio. Si tratta di «prodigi e segni» (At 2,43) che avvengono per opera degli Apostoli, confermando la loro parola e dimostrando che essi agiscono nel nome di Cristo.
Accade così che gli Apostoli intercedono e Cristo opera, agendo «insieme con loro» e confermando la Parola con i segni che l’accompagnano (Mc 16,20). Ci troviamo oggi dinanzi al primo racconto di guarigione del Libro degli Atti. Esso ha una chiara finalità missionaria, che punta a suscitare la fede. Pietro e Giovanni vanno a pregare al Tempio, centro dell’esperienza di fede d’Israele, a cui i primi cristiani sono ancora fortemente legati. Luca registra l’ora: è l’ora nona, cioè le tre del pomeriggio, quando il sacrificio veniva offerto in olocausto come segno della comunione del popolo col suo Dio; e anche l’ora in cui Cristo è morto offrendo sé stesso «una volta per sempre» (Eb 9,12; 10,10). E alla porta del Tempio detta “Bella” vedono un mendicante, un uomo paralitico fin dalla nascita. La Legge mosaica (cfr Lv 21,18) impediva di offrire sacrifici a chi avesse menomazioni fisiche, ritenute conseguenza di qualche colpa. E in seguito era stato negato loro persino l’accesso al Tempio.
Lo storpio, paradigma dei tanti esclusi e scartati della società, è lì a chiedere l’elemosina come ogni giorno. Quando accade qualcosa di imprevisto: arrivano Pietro e Giovanni e s’innesca un gioco di sguardi. Lo storpio guarda i due per chiedere l’elemosina, gli apostoli invece lo fissano, invitandolo a guardare verso di loro in un modo diverso, per ricevere un altro dono. Lo storpio li guarda e Pietro gli dice: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!» (At 3,6). Gli apostoli hanno stabilito una relazione, perché questo è il modo in cui Dio ama manifestarsi, nella relazione, (…) attraverso un incontro reale tra le persone che può accadere solo nell’amore.
Il Tempio, oltre ad essere il centro religioso, era anche un luogo di scambi economici e finanziari: contro questa riduzione si erano scagliati più volte i profeti e anche Gesù stesso (cfr Lc 19,45-46).
Quel mendicante, incontrando gli Apostoli, non trova denaro ma il Nome che salva l’uomo: Gesù Cristo il Nazareno. Pietro invoca il nome di Gesù, ordina al paralitico di mettersi in piedi, nella posizione dei viventi, e tocca questo malato, cioè lo prende per mano e lo solleva, gesto in cui San Giovanni Crisostomo vede «un’immagine della risurrezione» (Omelie sugli Atti degli Apostoli, 8). Qui appare il ritratto della Chiesa, che vede chi è in difficoltà, non chiude gli occhi, sa guardare l’umanità in faccia per creare relazioni significative, ponti di amicizia e di solidarietà al posto di barriere. Appare il volto di «una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti» (Evangelii gaudium, 210), che sa prendere per mano e accompagnare per sollevare. Si tratta dell’«arte dell’accompagnamento» che si caratterizza per la delicatezza con cui ci si accosta alla «terra sacra dell’altro», dando al cammino «il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana» (ibid., 169).
Pietro e Giovanni ci insegnano a non confidare nei mezzi, che pure sono utili, ma nella vera ricchezza che è la relazione con il Risorto. Siamo infatti – come direbbe san Paolo – «poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto» (2Cor 6,10). Il nostro tutto è il Vangelo, che manifesta la potenza del nome di Gesù che compie prodigi.
E noi, che cosa possediamo? Qual è la nostra ricchezza, il nostro tesoro? Con che cosa possiamo rendere ricchi gli altri? Chiediamo al Padre il dono di una memoria grata nel ricordare i benefici del suo amore nella nostra vita, per dare a tutti la testimonianza della lode e della riconoscenza.
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