Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Un “anniversario cristiano”, non per fare bilanci ma per trasformare la fede in “nuova audacia per il Vangelo”, che sia la pazienza di una missione quotidiana a Roma nel mondo: quella di “valicare i confini e i muri per riunire”. E’ quello che propone Papa Francesco alla Comunità di Sant’Egidio, visitata nella sua sede romana di Trastevere per i suoi 50 anni.
Sotto la pioggia battente, il Papa arriva in Piazza di Santa Maria in Trastevere poco dopo le 16.30, e, prima di entrare nella basilica dove la comunità prega ogni sera, è salutato dal presidente Marco Impagliazzo. Davanti a una rappresentanza dei 60 mila che aderiscono alla comunità in tutto il mondo, a giovani e poveri amici della comunità, ai profughi arrivati con i corridoi umanitari organizzati da Sant’Egidio in collaborazione con la Conferenza episcopale italiana , agli anziani, ai bambini delle “scuole della Pace”, il presidente sottolinea che è triste una Chiesa che ha i poveri come clienti e non come fratelli ed ha detto al Papa che “con Lei vogliamo sognare una Chiesa popolo di tutti, nessuno escluso, perché la Misericordia di Dio tocchi il cuore di tutti”.
Papa Francesco ringrazia i presenti della loro generosità: abbiate sempre, dice, il cuore aperto per tutti, senza distinguere “questo mi piace, questo non mi piace”. E augura a tutti il meglio “per le vostre famiglie e i vostri sogni”.
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Nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, l’incontro prende la forma di una Liturgia della Parola, che “è la nostra bussola, come la città il nostro orizzonte” aveva detto ancora Impagliazzo. Dopo la lettura del Vangelo e la meditazione del parroco don Marco Gnavi, si alternano al microfono quatto volti della comunità oggi. L’ottantenne Giovanna, impegnata nel movimento di anziani della comunità, Jafar, 15 anni, palestinese siriano arrivato in Italia con i corridoi umanitari, la 23enne Laura, volontaria nella Scuola della Pace per i bambini poveri di Ostia, e Mauro Garofalo, responsabile delle relazioni internazionali di Sant’Egidio, che sta operando da mediatore in Centrafrica. Infine il fondatore della Comunità, lo storico Andrea Riccardi, saluta Francesco ricordando che per la Sant’Egidio la sfida che viene dal Concilio è quella “di fare il mondo migliore”, con la forza degli umili e dei poveri. Eringrazia il Papa per l’enciclica Evangelii Gaudium, e la sua proposta di uscire dalle sacrestie e dall’autoreferenzialità, perché da allora “un popolo grande si è messo in cammino”.
Quando prende la parola, il Papa invita la Comunità di Sant’Egidio a vivere questo anniversario non solo come celebrazione del passato, ma soprattutto come “gioiosa manifestazione di responsabilità verso il futuro”. Ricorda il talento della Comunità, sintetizzato in “preghiera, poveri e pace”, le stesse parole usate nella visita del 15 giugno 2014. Ma nella parabola dei talenti, sottolinea, un servo non investe il suo talento per paura. Come il mondo oggi “spesso abitato dalla paura e anche dalla rabbia”, paura che si concentra spesso “su chi è straniero, diverso da noi, povero, come se fosse un nemico”.
Se siamo da soli, anche noi cristiani “siamo presi facilmente dalla paura”. Ma il cammino della vostra Comunità vi aiuta a guardare il futuro insieme con la Chiesa, perché è figlia del Concilio Vaticano II. Poi Papa Francesco guarda alle tante guerre aperte, e pensa ai dolori “del popolo siriano”, strappando l’applauso di tutta la basilica.
Sottolinea l’importanza della Parola di Dio che “vi ha protetto in passato dalle tentazioni dell’ideologia e oggi vi libera dall’intimidazione della paura”. Per questo, aggiunge “vi esorto ad amare e frequentare sempre più la Bibbia. Ognuno troverà in essa la sorgente della misericordia verso i poveri, i feriti della vita e della guerra”. “Questa è la spiritualità che viene dal Concilio, che insegna una grande e attenta compassione per il mondo”. In questi 50 anni il mondo è diventato “globale”, ma se l’economia e le comunicazioni si sono unificate, per tanti, specialmente per i poveri, si sono alzati nuovi muri, e le loro diversità sono occasione di ostilità.
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è ancora da costruire una globalizzazione della solidarietà e dello spirito. Il futuro del mondo globale è vivere insieme: questo ideale richiede l’impegno di costruire ponti, tenere aperto il dialogo, continuare a incontrarsi. Non è solo un fatto politico o organizzativo. Ciascuno è chiamato a cambiare il proprio cuore assumendo uno sguardo misericordioso verso l’altro, per diventare artigiano di pace e profeta di misericordia.
Non dite mai, prosegue Francesco “Io che c’entro?”, perché siamo fratelli di tutti e, per questo, profeti di un mondo nuovo. Fate di questa ricorrenza “un anniversario cristiano”, non il tempo dei bilanci…
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ma il tempo in cui la fede è chiamata a diventare nuova audacia per il Vangelo. L’audacia non è il coraggio di un giorno, ma la pazienza di una missione quotidiana nella città e nel mondo. È la missione di ritessere pazientemente il tessuto umano delle periferie, che la violenza e l’impoverimento hanno lacerato; di comunicare il Vangelo attraverso l’amicizia personale; di mostrare come una vita diventa davvero umana quando è vissuta accanto ai più poveri; di creare una società i cui nessuno sia più straniero. È la missione di valicare i confini e i muri per riunire.
Oggi, conclude il Papa, continuate audacemente su questa strada. Continuate a stare accanto ai bambini delle periferie con le Scuole della Pace, che ho visitato; continuate a stare accanto agli anziani: a volte sono scartati, ma per voi sono amici. Continuate ad aprire nuovi corridoi umanitari per i profughi della guerra e della fame. I poveri sono il vostro tesoro!
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Voi siete di Cristo! E’ il saluto finale di Francesco alla Sant’Egidio, e siate sempre di Cristo “nella preghiera, nella cura dei suoi fratelli più piccoli, nella ricerca della pace, perché Egli è la nostra pace”. Prima delle 18, in anticipo sul programma, il Papa lascia la basilica e piazza di Santa Maria in Trastevere per far rientro in Vaticano.
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