Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Quando torneremo a casa, manteniamo vivo “quel sogno che ci fa fratelli”: dovunque ci troveremo, “potremo sempre guardare in alto e dire ‘Signore, insegnami ad amare come tu ci hai amato”. Papa Francesco racconta così, ai 300 mila giovani in festa nella Cinta Costera di Panama, protagonisti della cerimonia di accoglienza della Giornata mondiale della gioventù numero 34, il sogno per cui Cristo ha dato la vita, “che scorre nelle nostre vene e fa trasalire il cuore”. E cita il discorso d’addio di Gesù ai discepoli, riportato dall’evangelista Giovanni, e il suo comandamento nuovo: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli”.
Il Campo Santa Maria La Antigua risplende dei mille colori della gioventù del mondo, resi più vividi dalla luce all’imbrunire, e migliaia di voci squillanti cantano l’inno della Gmg 2019, “Hàgase en mì, segùn tu palabra”, “Per me si compia la tua parola”, mentre il Papa argentino, concluso il giro in papamobile, viene accolto ai piedi del palco da 5 giovani dei cinque continenti, in abito tradizionale. Poi la processione fino al palco della Croce della Gmg e dell’Icona di Maria Salus Populi Romani.
L’arcivescovo di Panama, monsignor José Domingo Ulloa Mendieta, che lo ha appena accompagnato nella papamobile, saluta in Francesco “Pietro” che scegliendo “questo piccolo istmo” per la Gmg “ha dato l’opportunità a moltissimi giovani centroamericani, specialmente a quanti sono stati segnati dall’esclusione e dalla povertà, di poter vivere l’esperienza di un incontro con altri giovani”, nel quale condividere “sogni, progetti e sfide”. Così scopriranno “che sono i principali protagonisti nel rinnovamento della Chiesa e della società”. Dopo di lui cinque giovani, uno per ogni continente, danno il loro benvenuto al Pontefice, mentre sfilano le bandiere di tutto il mondo. Quindi atleti di Panama, in costume tradizionale, donano al Papa una stola bianca confezionata in mola, tela artigianale realizzata dagli indios Gunas.
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Si torna alla Gmg 2000 con l’inno “Emmanuel” cantata a 6 voci, mentre nei diversi livelli del palco si rappresenta come arrivò il Vangelo nel mondo per mezzo dell’inculturazione. Il Vangelo è rappresentato da un bambino che passa con il cantante da un gruppo etnico all’altro.
Quattro giovani americani presentano gli otto patroni di questa Gmg. Comincia Enrique da El Salvador, con Sant’ Oscar Romero “pastore che accompagna” e il giovane José Sánchez del Río, il camminatore “con i piedi spellati”. Continua Kelly dal Perù, che presenta l’umile frate San Martino di Porres e la vergine Santa Rosa da Lima, prima santa d’America, e dopo di lei Jackson di Haiti, che in francese parla di San Giovanni Bosco, “regalo di luce per i giovani” e della Beata suor Maria Romero, una vita donata ai poveri. Infine la messicana Ana Lucia presenta San Giovanni Paolo II, che mostrò al mondo “il volto giovane di Cristo” e San Juan Diego, che in alcune rose invernali raccolse la “Signora che ci porta la luce del Vangelo”.
Non siamo qui, non siete qui “per creare una Chiesa parallela un po’ più ‘divertente’ o ‘cool’ in un evento per giovani, con un po’ di elementi decorativi”, ricorda Papa Francesco all’inizio del suo discorso, dopo la lettura del Vangelo delle Nozze di Cana. E cita il documento finale del Sinodo dedicato ai giovani, quando i padri sinodali, al numero 60 scrivono: “Vogliamo ritrovare e risvegliare insieme a voi la continua novità e giovinezza della Chiesa aprendoci a una nuova Pentecoste”. Ma questo è possibile solo se, spiega il Papa, “sappiamo camminare ascoltandoci e ascoltare completandoci a vicenda, se sappiamo testimoniare annunciando il Signore nel servizio ai nostri fratelli”, un servizio concreto, non “di figurine”.
Lasciando il discorso preparato, sempre in spagnolo, il Pontefice ricorda chi ha “cominciato a camminare” per primo in questa Giornata: “i giovani della gioventù indigena, che sono stati i primi in America e i primi a camminare in questo incontro”, nell’Incontro mondiale della gioventù indigena appena concluso a Soloy. E saluta “anche i giovani della gioventù di discendenza africana: anche loro hanno fatto il loro incontro e ci hanno anticipato”.
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Arrivare qui per voi non è stato facile, prosegue Francesco, ma come veri discepoli “non avete avuto paura di rischiare e camminare”. Veniamo da culture e popoli diversi, tante cose ci possono differenziare, ma nulla “ha impedito che potessimo incontrarci ed essere felici di stare insieme”, perché sappiamo che “c’è Qualcuno che ci fa fratelli”.
Voi, cari amici, avete fatto tanti sacrifici per potervi incontrare e così diventate veri maestri e artigiani della cultura dell’incontro. Con i vostri gesti e i vostri atteggiamenti, coi vostri sguardi, desideri e soprattutto la vostra sensibilità, voi smentite e screditate tutti quei discorsi che si concentrano e si impegnano nel creare divisione, nell’escludere ed espellere quelli che “non sono come noi”.
Il Pontefice cita Benedetto XVI, e chiede un applauso per lui “che ci sta guardando in televisione”: “il vero amore” armonizza le differenze “in una superiore unità”, e ricorda che il diavolo “padre della menzogna, preferisce un popolo diviso e litigioso, a un popolo che impara a lavorare insieme”. E sottolinea che “incontrarsi non significa mimetizzarsi, né pensare tutti la stessa cosa o vivere tutti uguali”.
La cultura dell’incontro è un appello e un invito ad avere il coraggio di mantenere vivo un sogno comune. Sì, un sogno grande e capace di coinvolgere tutti.
Il sogno è quello “per il quale Gesù ha dato la vita sulla croce”. Un sogno “chiamato Gesù, seminato dal Padre con la fiducia che crescerà e vivrà in ogni cuore”. Un sogno “che scorre nelle nostre vene, fa trasalire il cuore e lo fa sussultare ogni volta che ascoltiamo” le parole di Gesù ai discepoli, nel suo “testamento”: “Amatevi gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”.
E qui Papa Francesco ricorda quello che Sant’Oscar Romero amava dire: “Il cristianesimo non è un insieme di verità da credere, di leggi da osservare, o di proibizioni. Visto così non è per nulla attraente. Il cristianesimo è una Persona che mi ha amato tanto, che desidera e chiede il mio amore. Il cristianesimo è Cristo”. E’, commenta il Papa “portare avanti il sogno per cui Lui ha dato la vita: amare con lo stesso amore con cui ci ha amato”.
Francesco inizia poi un dialogo con i giovani. “Che cosa ci tiene uniti? cosa ci spinge ad incontrarci?” chiede. E si dà la risposta: è “la certezza di sapere che siamo stati amati con un amore profondo che non vogliamo e non possiamo tacere e ci provoca a rispondere nello stesso modo: con amore. È l’amore di Cristo quello che ci spinge”. Un amore “che non si impone e non schiaccia”, che “non emargina e non mette a tacere”, che “non umilia e non soggioga”. È l’amore del Signore, “quotidiano, discreto e rispettoso”, “di libertà e per la libertà”, che “guarisce ed eleva”.
È l’amore del Signore, che sa più di risalite che di cadute, di riconciliazione che di proibizione, di dare nuova opportunità che di condannare, di futuro che di passato. È l’amore silenzioso della mano tesa nel servizio e nel donarsi senza vantarsi.
“Credi in questo amore?” Chiede ancora il Pontefice ai giovani, e ricorda che è la domanda che l’angelo ha fatto a Maria. “Le domandò se voleva portare questo sogno nel suo grembo e renderlo vita, renderlo carne. Ella disse: ‘Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola’”.
Maria ha saputo dire “sì”. Ha saputo dare vita al sogno di Dio. Ed è la stessa cosa che l’angelo vuole chiedere a te, a te, a me: vuoi che questo sogno abbia vita? Vuoi dargli carne con le tue mani, i tuoi piedi, il tuo sguardo, il tuo cuore? Vuoi che sia l’amore del Padre ad aprirti nuovi orizzonti e a portarti per sentieri mai immaginati e pensati, sognati o attesi, che rallegrino e facciano cantare e danzare il cuore?
Cari giovani, e Papa Francesco si avvia alla conclusione, “questa Giornata non sarà fonte di speranza per un documento finale, un messaggio concordato o un programma da eseguire”. A trasmettere speranza sono, dice rivolto ai giovani “i vostri volti” e “la preghiera”. Ognuno tornerà a casa “con la nuova forza che si genera ogni volta che ci incontriamo con gli altri e con il Signore”, per ricordare e mantenere vivo “quel sogno che ci fa fratelli e che siamo chiamati a non lasciar congelare nel cuore del mondo”
Dovunque ci troveremo, qualsiasi cosa staremo facendo, potremo sempre guardare in alto e dire: “Signore, insegnami ad amare come tu ci hai amato”. Volete ripeterlo con me? “Signore, insegnami ad amare come tu ci hai amato”.
Il Pontefice conclude con i ringraziamenti, a chi ha preparato “con grande entusiasmo questa Giornata Mondiale della Gioventù”. Grazie “per aver detto ‘sì’ al sogno di Dio di vedere i suoi figli riuniti. Grazie a Mons. Ulloa e a tutti i suoi collaboratori per aver aiutato a far sì che oggi Panamá sia non solo un canale che collega i mari, ma anche un canale in cui il sogno di Dio continua a trovare altri piccoli canali per crescere e moltiplicarsi e irradiarsi in tutti gli angoli della terra”.
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