Nei due Paesi africani meta del recente viaggio apostolico, il Papa ha condiviso con i gesuiti locali le sue preoccupazioni sui conflitti nel mondo e ha sollecitato un confronto sinodale nelle terre visitate perché siano tutelate dallo sfruttamento illegale. Il colloquio integrale sul sito de “La Civiltà Cattolica”
di Antonella Palermo, per Vaticannews.va
I conflitti, le crudeltà delle violenze, la tutela dei patrimoni naturali, i mali della Chiesa, il sogno per l’Africa: sono alcuni dei temi affrontati da Papa Francesco negli incontri avuti con i gesuiti nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan, incontri diventati appuntamenti fissi nell’agenda dei suoi viaggi apostolici. Le due conversazioni sono state riportate in un articolo della rivista della Compagnia “La Civiltà Cattolica” a firma del direttore padre Antonio Spadaro.
Il 2 febbraio scorso erano 82 i gesuiti attivi in RD Congo, guidati dal provinciale padre Rigobert Kyungu, che hanno sostato con il Santo Padre a Kinshasa in nunziatura. Tra loro anche il gesuita Donat Bafuidinsoni, vescovo di Inongo. Nell’ambito della conversazione, la questione della missione di riconciliazione e di giustizia – una delle opzioni preferenziali della Compagnia di Gesù – ha preso molta attenzione.
“Qui è forte il tema del conflitto, delle lotte tra fazioni. Ma apriamo gli occhi sul mondo: tutto il mondo è in guerra!”, ha scandito il Papa ricordando le situazioni di Siria, Yemen, Myanmar, America latina, Ucraina. “L’umanità avrà il coraggio, la forza o persino l’opportunità di tornare indietro? Si va avanti, avanti, avanti verso il baratro. Non so: è una domanda che io mi faccio. Mi dispiace dirlo, ma sono un po’ pessimista”, ha detto.
“Oggi davvero sembra che il problema principale sia la produzione di armi. C’è ancora tanta fame nel mondo e noi continuiamo a fabbricare le armi. È difficile tornare indietro da questa catastrofe. E non parliamo delle armi atomiche! Credo ancora in un lavoro di persuasione”, sono ancora le parole del Pontefice con i gesuiti congolesi. Ricorda i racconti delle vittime delle violenze che lo hanno tanto colpito, Francesco, di una crudeltà inimmaginabile. Anche ai gesuiti del Sud Sudan ripeterà: “Oggi la nostra è anche una cultura pagana di guerra – afferma – dove conta quante armi hai. Sono tutte forme di paganesimo”.
Il Papa si sofferma sul tema ambientale, con tutte le sue ricadute economiche, considerando il bacino del fiume Congo, il secondo polmone verde del pianeta dopo l’Amazzonia, minacciato da deforestazione, inquinamento e sfruttamento intensivo e illegale. Sollecitato dalla domanda se si potrà fare un Sinodo su questa regione come quello realizzato per l’Amazzonia, risponde che un Sinodo non ci sarà ma che certo sarebbe bene che la conferenza episcopale si impegnasse sinodalmente a livello locale, proprio perché l’equilibrio planetario dipende anche dalla salute del bioma del Congo.
Delle liturgie vissute nel Paese, esprime l’apprezzamento per il rito congolese poiché, dice è un’opera d’arte, un capolavoro, realizzato non come un adattamento, ma come “una realtà poetica, creativa”. Torna poi sull’immagine della Chiesa come ospedale da campo sottolineando che una delle cose più brutte nella Chiesa è l’autoritarismo, “specchio di una società ferita dalla mondanità e dalla corruzione”. E aggiunge: “La Chiesa non è una multinazionale della spiritualità. Guardate i santi! Curare, prendersi cura delle ferite che il mondo vive! Servite la gente! La parola ‘servire’ è molto ignaziana. ‘In tutto amare e servire’ è il motto ignaziano. Voglio una Chiesa del servizio”.
Il Papa si proietta al 2025, quando ricorrerà il 1.700.mo anniversario del primo Concilio di Nicea. Accenna che con il Patriarca Bartolomeo sono in corso preparativi per celebrarlo “come fratelli”, nella speranza di poter arrivare a un accordo per la data della Pasqua. Inoltre, ancora una volta gli viene riproposto il tema delle dimissioni. Non pensa che i Papi dimissionari debbano diventare una cosa normale: “Benedetto ha avuto il coraggio di farlo perché non se la sentiva di andare avanti a causa della sua salute. Io per il momento non ho in agenda questo. Io credo che il ministero del Papa sia ad vitam. Non vedo la ragione per cui non debba essere così”. E pensa in questo modo anche per il ruolo di superiore generale della Compagnia: “Sì, su questo io sono conservatore”, dice.
In Sud Sudan, il 4 febbraio, Francesco ha avuto un incontro a Giuba con gli 11 gesuiti che operano nel Paese e padre Kizito Kiyimba, Superiore della Provincia dell’Africa Orientale, che comprende Sudan, Sud Sudan, Etiopia, Uganda, Kenya e Tanzania. L’Africa deve crescere, non deve essere sfruttata: questo il sogno espresso qui dal Papa per il continente, tema su cui aveva già interagito lo scorso novembre in occasione di un incontro online con studenti africani. Vivo il ricordo di quelle testimonianze che avevano rivelato una brillante intelligenza. “L’Africa ha bisogno di politici che siano persone così: bravi, intelligenti, che facciano crescere i loro Paesi. Politici che non si lascino traviare dalla corruzione, soprattutto. La corruzione politica non lascia spazio alla crescita del Paese, lo distrugge”, ha ripetuto con i suoi confratelli.
Con i gesuiti del Sud Sudan c’è stato spazio anche per parlare del processo di beatificazione di padre Pedro Arrupe, che fu preposito generale della Compagnia dal ’65 all’83. “La sua causa sta andando avanti – dice – perché una delle tappe è già conclusa. Ne ho parlato con il padre generale. Il problema più grande riguarda gli scritti del padre Arrupe. Ha scritto tanto e bisogna leggere tutto quanto. E questo rallenta il processo”. Ricordare la sua figura dà modo al Papa anche di sottolineare l’importanza della preghiera, una preghiera sempre incarnata sulle esigenze della realtà in cui ci si trova immersi. “Ho paura dei predicatori di preghiera che fanno orazioni astratte, teoriche, che parlano, parlano, parlano, ma con parole vuote”, precisa Francesco. Quella preghiera che, insieme a coraggio e tenerezza Sant’Ignazio voleva nei gesuiti. E questo è l’invito del Papa anche per i suoi compagni di oggi.
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