Invocare, camminare e ringraziare, intorno a questi tre temi Francesco, nell’omelia della Messa per la canonizzazione di cinque nuovi Santi, ricorda che la preghiera è la medicina del cuore, la fede un camminare insieme e che ringraziare è “la parola più semplice e benefica”
Benedetta Capelli – Città del Vaticano per Vaticannews
Hanno camminato sulle strade della fede, superando prove ardue, donandosi nella preghiera e nell’assistenza agli ultimi, cercando per tutta la vita la verità che è Gesù. I cinque nuovi Santi, canonizzati oggi da Papa Francesco in Piazza San Pietro, mostrano il volto di una Chiesa capace di vivere nelle periferie esistenziali del mondo, una Chiesa che si fa tale in una casa semplice e una Chiesa santa nel quotidiano. Ogni tratto si sposa così con la storia e la vita del cardinale britannico Henry Newman, della Fondatrice delle Figlie di San Camillo suor Giuseppina Vannini, della Madre indiana Mariam Thresa Chiramel Mankidiyan, della brasiliana suor Dulce Lopes Pontes e della svizzera Margarita Bays.
Francesco, nell’omelia della Messa, suggerisce tre strade per disegnare il cammino della fede ispirandosi al brano del Vangelo di Luca nel quale si racconta la guarigione dei lebbrosi. Di loro ricorda “l’esclusione sociale” e il grido per attirare l’attenzione di Gesù. Un modo, spiega il Papa, per accorciare le distanze perché non è “chiudendosi in sé stessi e nei propri rimpianti” né pensare “ai giudizi degli altri” ma è necessario invocare il Signore che ascolta il grido di chi è solo.
Come quei lebbrosi, anche noi abbiamo bisogno di guarigione, tutti. Abbiamo bisogno di essere risanati dalla sfiducia in noi stessi, nella vita, nel futuro; da molte paure; dai vizi di cui siamo schiavi; da tante chiusure, dipendenze e attaccamenti: al gioco, ai soldi, alla televisione, al cellulare, al giudizio degli altri. Il Signore libera e guarisce il cuore, se lo invochiamo, se gli diciamo: “Signore, io credo che puoi risanarmi; guariscimi dalle mie chiusure, liberami dal male e dalla paura, Gesù”.
Il Signore premia l’audacia di chi lo chiama per nome, premia chi si rivolge a lui in modo diretto e spontaneo.
Chiamare per nome è segno di confidenza, e al Signore piace. La fede cresce così, con l’invocazione fiduciosa, portando a Gesù quel che siamo, a cuore aperto, senza nascondere le nostre miserie. Invochiamo con fiducia ogni giorno il nome di Gesù: Dio salva. Ripetiamolo: è pregare, dire Gesù è pregare. La preghiera è la porta della fede, la preghiera è la medicina del cuore
Avanzare nella fede con l’amore umile e concreto, con la pazienza quotidiana: è la via, secondo il Papa, per “camminare” insieme e mai da soli. I lebbrosi infatti non sono fermi mentre vengono guariti ma procedono in salita, venendo purificati.
La fede richiede un cammino, un’uscita, fa miracoli se usciamo dalle nostre certezze accomodanti, se lasciamo i nostri porti rassicuranti, i nostri nidi confortevoli. La fede aumenta col dono e cresce col rischio. Sì cresce con il rischio! La fede procede quando andiamo avanti equipaggiati di fiducia in Dio.
E’ questo muoversi insieme che definisce la fede ed è anche l’invito di Francesco ai ministri di Dio perché si prendano cura di chi ha smesso di camminare, di chi ha perso la strada. “Siamo custodi dei fratelli lontani. Siamo intercessori – dice il Papa – per loro, siamo responsabili per loro, chiamati cioè a rispondere di loro, a prenderli a cuore”.
Nello spiegare il passo del Vangelo, il Pontefice ricorda che solo un lebbroso tornò a ringraziare Gesù, una decisione che lo condusse alla salvezza. “La tua fede ti ha salvato”.
La salvezza non è bere un bicchiere d’acqua per stare in forma, è andare alla sorgente, che è Gesù. Solo Lui libera dal male e guarisce il cuore, solo l’incontro con Lui salva, rende la vita piena e bella. Quando s’incontra Gesù nasce spontaneo il “grazie”, perché si scopre la cosa più importante della vita: non ricevere una grazia o risolvere un guaio, ma abbracciare il Signore della vita.
“Il culmine del cammino di fede – soggiunge il Papa – è vivere rendendo grazie” e questo spinge a chiederci se davvero viviamo la vita con un peso sul cuore o rendendo lode. “Quando ringraziamo – continua -, il Padre si commuove e riversa su di noi lo Spirito Santo”.
Ringraziare non è questione di cortesia, di galateo, è questione di fede. Un cuore che ringrazia rimane giovane. Dire: “Grazie, Signore” al risveglio, durante la giornata, prima di coricarsi è l’antidotoall’invecchiamento del cuore, perché il cuore invecchia e si abitua male. Così anche in famiglia, tra sposi: ricordarsi di dire grazie. Grazie è la parola più semplice e benefica.
Nel ricordare i nuovi Santi, il Papa sottolinea che si tratta di tre suore, espressione della vita religiosa come “un cammino d’amore nelle periferie esistenziali del mondo”; una sarta Margarita Bays che rivela “quant’è potente la preghiera semplice, la sopportazione paziente, la donazione silenziosa: attraverso queste cose il Signore ha fatto rivivere in lei lo splendore della Pasqua”. Infine ricorda il cardinale Newman che parlò della santità del quotidiano, della pace profonda, silenziosa e nascosta del cristiano che non accampa pretese.
Chiediamo di essere così, “luci gentili” tra le oscurità del mondo. Gesù, «resta con noi e noi cominceremo a brillare come Tu brilli, a brillare in modo da essere una luce per gli altri»
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