Sarà celebrata il 12 aprile a S. Pietro per il centenario di Metz Yeghern, il “Grande Male”. Tensione tra Armenia e Turchia a proposito delle celebrazioni
Il 24 aprile del 2015 ricorre il centenario dell’inizio del massacro di un milione e mezzo di armeni ad opera del governo dei Giovani Turchi del padre della moderna Turchia, Mustafa Kemal Ataturk. Gli armeni lo indicano come Metz Yeghern, il “Grande Male”.
Nell’ambito della commemorazione, in Italia e nel mondo di questi avvenimenti, papa Francesco, secondo quanto stabilito dal calendario delle celebrazioni presiedute dal pontefice tra febbraio e aprile, celebrerà una Santa Messa a S. Pietro per i fedeli di rito armeno alle ore 10 del 12 aprile, domenica della Divina Misericordia.
GENOCIDIO O STERMINIO?
Gli storici non sono ancora d’accordo sull’attribuzione della definizione di “genocidio” (riconosciuta in presenza di precise caratteristiche della persecuzione contro “un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”), ma in molti ritengono che lo sterminio della popolazione armena di Istanbul e in tutta l’area dell’ex impero ottomano sia stato il preludio a ognuno dei grandi massacri del Novecento, dalla Shoah, ricordata il 27 gennaio con la Giornata della memoria, al massacro di Srebenica (8 mila musulmani inermi uccisi dai serbi) del conflitto nella ex Yugoslavia e del quale quest’anno ricorrerà il ventennio.
Secondo Raz Segal, 39enne storico dell’Università di Tel Aviv che da anni studia i paralleli e le differenze tra diversi genocidi: «Lo sterminio degli armeni segna il vero inizio del ventesimo secolo. È la pulizia etnica in nome della purezza dello Stato Nazione che con la violenza sradica qualunque diversità. La stessa idea i nazisti l’hanno declinata in un senso più ampio e ancora più radicale. Ma con la Shoah e la catastrofe degli ebrei quell’idea purtroppo non è morta in Europa. Basti pensare ai Balcani e alla strage di Srebrenica» (L’Espresso 27 gennaio).
IL NEGAZIONISMO TURCO
La Messa presieduta da papa Francesco il 12 aprile si inserisce tra le numerose commemorazioni che si sono aperte ufficialmente in Armenia nei giorni scorsi e che dureranno per tutto l’anno. Il prossimo 23 aprile il patriarca armeno ortodosso Karekin II presiederà la canonizzazione di massa di un milione e mezzo di uomini, donne e bambini armeni morti a causa della loro appartenenza etnica e religiosa. Nella lettera enciclica scritta per l’occasione Karekin ha ricordato che “nel 1915 e negli anni successivi un milione e mezzo di nostri figli e figlie ha subito la morte, la fame, la malattia; è stato deportato e costretto a camminare fino alla morte” (Il Sismografo 27 gennaio).
Il patriarca ha sottolineato il mancato riconoscimento del genocidio da parte delle istituzioni turche, dai tempi del fondatore Ataturk fino all’attuale presidente Erdogan, cui si accompagna una “negazione criminale della Turchia”, cioè un’opera attiva di negazionismo.
“GUERRA” DI COMMEMORAZIONI
Per la Turchia è difficile riconoscere degli eventi storici la cui crudeltà coinvolge gli stessi padri fondatori della moderna repubblica. Qualche apertura diplomatica verso l’Armenia non ha mai preso in considerazione la possibilità di riconoscere il “genocidio”: per i turchi le vittime furono “solo” 350 mila e per la maggior parte morirono per “tragica fatalità” durante i trasferimenti coatti della popolazione armena nell’est del Paese.
L’anno scorso, tuttavia, in occasione del 24 aprile e della memoria del “Grande Male”, il presidente Erdogan inviò un messaggio con il quale offrì le condoglianze ai discendenti degli armeni morti “nelle circostanze dell’inizio del XX secolo”, specificando che “è un dovere umano capire e condividere la volontà degli armeni di commemorare le loro sofferenze durante quel periodo”.
Quest’anno, nel timore delle ricadute politiche delle celebrazioni che si svolgeranno a Yerevan il 24 aprile prossimo, il governo turco ha deciso di anticipare di due giorni l’anniversario della vittoria nella battaglia dei Dardanelli del 1915 (di solito ricordata il 25 aprile) proponendo a 102 capi di Stato e di governo – tra cui il presidente armeno Serzh Sargsyan – un vertice per la pace a Istanbul proprio il 24 aprile. “Un tentativo grossolano – lo ha definito nella risposta a Erdogan il presidente armeno – di distrarre l’attenzione della comunità internazionale dalla commemorazione del centennale del genocidio armeno”.
IL “GIORNO DELLE MEMORIE”
Di fronte alla “contabilità” dei morti e ai contorcimenti diplomatici, assume maggior significato la proposta dello scrittore Moni Ovadia che vorrebbe trasformare la “Giornata della memoria” istituita il 27 aprile in ricordo delle vittime della Shoah che non furono solo ebrei ma anche “rom, antifascisti, omosessuali, menomati, Testimoni di Geova, slavi, emarginati, militari che rifiutarono di piegarsi ai nazifascisti” in “Giorno delle memorie”. “La nuova denominazione – scrive lo scrittore – dovrebbe riorientare le manifestazioni, gli studi, l’edificazione della casa della Memoria come laboratorio della cultura di pace, di giustizia, di uguaglianza nel ricordo di tutti i genocidi e degli stermini di massa” (gariwo.net).
di Chiara Santomero per Aleteia
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