Sancta Sedes

Papa Francesco: siamo uniti ai cristiani perseguitati a causa della fede!

“Ricordiamo tanti fratelli e sorelle cristiani che soffrono persecuzioni a causa della loro fede. Siamo uniti a loro”. Con questo tweet, Papa Francesco ha voluto ricordare la Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, che viene celebrata oggi nell’anniversario dell’uccisione del Beato Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador.

 

Ancora oggi tanti sono i missionari che vengono uccisi per la loro fede, come è successo nel 1996 a sette monaci trappisti del Monastero di Notre-Dame de l’Atlas a Tibhirine, in Algeria, massacrati da estremisti islamici. Domenica ricorre il 21.mo anniversario della strage. Toccante la testimonianza del priore di Tibhirine, padre Christian De Chergé, che prima di essere ucciso aveva scritto una lettera in cui perdonava i suoi assassini. Leggiamo le parole del Padre trappista Jacques Briere

, abate delle Tre Fontane a Roma, intervistato da Marina Tomarro.

R. – Ricordiamo un esempio di vita monastica vissuto fino in fondo e fino alla testimonianza del sangue. Questi fratelli sono venuti da diversi monasteri della Francia. Il miracolo in una certa maniera è il fatto che malgrado la diversità di origine poco a poco padre Christian è riuscito a creare una comunità molto unita e molto desiderosa di testimoniare Cristo nel mondo musulmano. Questo si è realizzato con il dono della loro vita al Signore, sicuramente, ma anche all’Algeria perché padre Christian, il priore, era un uomo di dialogo con l’islam, conosceva molte bene il Corano e lui è stato all’origine di un gruppo di dialogo fra cristiani e musulmani.

D. – Lei ha avuto occasione di conoscere e incontrare qualcuno di loro prima della tragedia?

R. – Sì, ho incontrato padre Christian. L’ho incontrato più volte, in occasione delle riunioni dei superiori e poi ci siamo incontrati in due occasioni, sul posto, nel 1985 e 1992. Christian era una personalità eccezionale, diceva di lui che aveva imparato il Vangelo sulle ginocchia di sua madre e che sua madre era stata la sua prima Chiesa. Un’esistenza in cui come scelta fin dall’inizio della sua vita è stato in dialogo con Dio, si può dire, e quando ci si trovava con Christian si vedeva che era un uomo di Dio. Mi ricordo che ho fatto con lui un lungo viaggio dal Marocco a Tibhirine e durante questo viaggio ci siamo fermati per fare il picnic. Era vicino al Mediterraneo, si vedeva il mare, il paesaggio era bellissimo e prima di mangiare padre Christian ci ha proposto di celebrare l’ora media insieme. Durante tutta la mattinata abbiamo scambiato molto sulla vita monastica, l’avvenire della comunità in Algeria e si era creata una bella comunione fra noi. Quando abbiamo pregato questa ora media la comunione si è estesa alla comunione con Dio e alla comunione con tutto il cosmo, vista la bellezza del paesaggio. Christian viveva in presenza di Dio e portava con lui questo messaggio della presenza di Dio.

 

D. – Cosa è rimasto secondo lei di questo sacrificio? Qual è il messaggio che oggi ci arriva di questi sette monaci?

R. – E’ il messaggio che rimane anche per gli altri missionari che sono morti in Algeria nella stessa epoca, cioè il dono gratuito della loro vita a un popolo che fa parte del popolo di Dio in una certa maniera, anche se non sono cristiani, ma sono tutti figli di Dio. Penso che il messaggio di Christian è il messaggio di profonda comunione fra tutti gli esseri umani, non importa la loro religione e non importano le differenze che possono esistere fra diversi gruppi umani.

 



 

D. – Il monastero oggi è diventato una meta di pellegrinaggio: cosa potrà nascere da tutto ciò?

R. – Penso che è un esempio di fede. Dio ci ha creato e ci ha creato in vista di una felicità in modo da sentire questa felicità eterna alla quale Dio ci chiama e penso che la loro vita è una vita di fede: hanno veramente rimesso la loro vita nelle mani di Dio.



Fonte.  it.radiovaticana.va

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