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Papa Francesco: ‘Vicinanza, compassione e tenerezza sono lo stile di Dio!’

Vicinanza, compassione e tenerezza sono lo stile di Dio, lo ha ricordato Papa Francesco con determinazione, durante l’Angelus di questa domenica 14 febbraio in Piazza San Pietro.

Fratelli e sorelle, anche oggi nel mondo tanti nostri fratelli soffrono per questa malattia, o per altre malattie e condizioni a cui è purtroppo associato un pregiudizio sociale ha detto il Pontefice, ricordando l’episodio del Vangelo della domenica nel quale Gesù prima incontra, poi tocca e quindi guarisce il lebbroso.

Le parole di Papa Francesco prima della recita dell’Angelus di oggi

Angelus oggi

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! E’ bella la Piazza con il sole. E’ bella!
Il Vangelo di oggi (cfr Mc 1,40-45) ci presenta l’incontro fra Gesù e un uomo malato di lebbra. I lebbrosi erano considerati impuri e, secondo le prescrizioni della Legge, dovevano rimanere fuori dal centro abitato.

Erano esclusi da ogni relazione umana, sociale e religiosa. Gesù, invece, si lascia avvicinare da quell’uomo, si commuove, addirittura stende la mano e lo tocca. Così, Egli realizza la Buona Notizia che annuncia: Dio si è fatto vicino alla nostra vita, ha compassione per le sorti dell’umanità ferita e viene ad abbattere ogni barriera che ci impedisce di vivere la relazione con Lui, con gli altri e con noi stessi. In questo episodio possiamo vedere due “trasgressioni” che si incontrano: il lebbroso che si avvicina a Gesù e Gesù che, mosso a compassione, lo tocca per guarirlo.

La prima trasgressione è quella del lebbroso: nonostante le prescrizioni della Legge, egli esce dall’isolamento e viene da Gesù. La sua malattia era considerata un castigo divino, ma, in Gesù, Egli può vedere un altro volto di Dio: non il Dio che castiga, ma il Padre della compassione e dell’amore, che ci libera dal peccato e mai ci esclude dalla sua misericordia. Così quell’uomo può uscire dall’isolamento, perché in Gesù trova Dio che condivide il suo dolore. L’atteggiamento di Gesù lo attira, lo spinge a uscire da sé stesso e ad affidare a Lui la sua storia dolorosa.

La seconda trasgressione è quella di Gesù: mentre la Legge proibiva di toccare i lebbrosi, Egli si commuove, stende la mano e lo tocca per guarirlo. Non si limita alle parole, ma lo tocca. Toccare con amore significa stabilire una relazione, entrare in comunione, coinvolgersi nella vita dell’altro fino a condividerne anche le ferite. Con questo gesto, Gesù mostra che Dio che non è indifferente, non si tiene a “distanza di sicurezza”; anzi, si avvicina con compassione e tocca la nostra vita per risanarla con tenerezza.

Fratelli e sorelle, anche oggi nel mondo tanti nostri fratelli soffrono per questa malattia, o per altre malattie e condizioni a cui è purtroppo associato un pregiudizio sociale. Dinanzi a tutto questo, Gesù ci annuncia che Dio non è un’idea o una dottrina astratta, ma Colui che si “contamina” con la nostra umanità ferita e non ha paura di venire a contatto con le nostre piaghe.

Per rispettare le regole della buona reputazione e delle consuetudini sociali, noi spesso mettiamo a tacere il dolore o indossiamo delle maschere che lo camuffano. Per far quadrare i calcoli dei nostri egoismi o le leggi interiori delle nostre paure, non ci coinvolgiamo troppo nelle sofferenze degli altri. Chiediamo invece al Signore la grazia di vivere queste due “trasgressioni” del Vangelo. Quella del lebbroso, perché abbiamo il coraggio di uscire dal nostro isolamento e, invece di restare lì a commiserarci o a piangere i nostri fallimenti, andiamo da Gesù così come siamo. E poi la trasgressione di Gesù: un amore che fa andare oltre le convenzioni, che fa superare i pregiudizi e la paura di mescolarci con la vita dell’altro.

Ci accompagni in questo cammino la Vergine Maria, che ora invochiamo nella preghiera dell’Angelus.

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Le parole di Papa Francesco dopo la recita dell’Angelus

Riconoscenza e gratitudine, sono i sentimenti che il Papa oggi, nei saluti del dopo Angelus, ha espresso nei confronti delle autorità colombiane per la loro azione verso i migranti che arrivano in quel Paese latinoamericano:

Oggi in particolare mi associo ai vescovi della Colombia nell’esprimere riconoscenza per la decisione delle autorità colombiane di implementare lo Statuto di Protezione Temporanea per i migranti  venezuelani presenti nel Paese, favorendone l’accoglienza, la protezione e l’integrazione.

Francesco sottolinea anche come, ad essersi fatto promotore di tale iniziativa, sia stato un paese che al suo interno vive grandi difficoltà:

E questo non lo fa un Paese ricchissimo, sovrasviluppato, no, lo fa un Paese con tanti problemi di sviluppo, di povertà, di pace, quasi 70 anni di guerriglia… Ma con questo problema ha avuto il coraggio di guardare a quei migranti e fare questo Statuto. Grazie alla Colombia. Grazie!

Il favore dei vescovi colombiani per lo Statuto

Nei giorni scorsi, come indicato dal Papa, i vescovi colombiani avevano espresso il loro favore verso lo Statuto di protezione temporanea per i migranti venezuelani, attuato dal governo di Ivan Duque, che permetterà la regolarizzazione di un milione e 700 mila persone, che potranno così integrarsi nella vita produttiva del Paese.

Il richiamo a promuovere la dignità umana

“Migranti, rifugiati, sfollati e vittime della tratta – avevano dichiarato i presuli – sono diventati l’emblema dell’esclusione perché, oltre a sopportare le difficoltà dovute alla loro condizione migratoria, sono spesso oggetto di giudizi negativi o di rifiuto sociale”. Per questo quindi, si sollecitavano atteggiamenti e iniziative atti a “promuovere la dignità umana di tutte le persone, indipendentemente dalla loro origine, in linea con la capacità storica di accoglienza” del popolo colombiano.

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