R. – L’ho trovato veramente pieno di gioia, sereno. Le cose di cui abbiamo parlato hanno riguardato le Chiese Orientali, soprattutto, e tutte quelle zone dove c’è tanta sofferenza, guerra, terrorismo, gente isolata, che soffre, gente bombardata. E’ stato, quindi, un incontro anche di tristezza e di impotenza per loro. Certamente il Papa, con il cuore grande che ha, vorrebbe dire a tutti di nuovo, ripetere quell’appello che ha fatto, intensissimo, la sera del 7 settembre, durante la veglia di preghiera e di digiuno per la Siria: la fraternità è la via alla pace!Sentirsi tutti responsabili del proprio Paese e non pensare che la distruzione, la violenza, la guerra e la morte porteranno soluzioni, ma la fraternità, così come Gesù ci ha insegnato, quel Gesù che noi adoriamo nel presepe di Natale.
D. – Nel cuore del Papa, o nel suo cuore, ci sono anche le persecuzioni e le privazioni di tante comunità cristiane…
R. – Certo, la vicinanza del Papa, come lui me l’ha espressa, è veramente grande per quelli che soffrono, soprattutto per la loro fede. Pensare che possano essere bersaglio di vendette, di violenze, di persecuzioni è un assurdo che tutti noi deprechiamo.
D. – Quando il Papa vi ha incontrato, durante la Plenaria della Congregazione, ha parlato di una vitalità rifiorita, di un dinamismo missionario e di perseveranza nella difficoltà. Le chiedo se ci sono dunque motivi, anche per sorridere, cioè dati positivi e incoraggianti a conclusione di questo anno per la realtà delle Chiese Orientali, e che ci possano far ben sperare per il 2014…
R. – Proprio il fatto che le Chiese Orientali – molte di esse – siano sotto il vessillo della croce concreta, ci dà la testimonianza più grande di quello che ha detto Gesù: “Quando sarete perseguitati, disprezzati dagli altri, è lì che sarete miei discepoli”. Quindi questa è una speranza che sorge da quella antichissima convinzione che il sangue dei cristiani porterà una crescita, certo in mezzo a tante difficoltà. L’altra sfida è l’ecumenismo, perché il martirio non è solo dei nostri cattolici, ma anche degli ortodossi, dei protestanti: vediamo realizzato l’Ut unum sint già nel martirio dei nostri fratelli. La speranza, quindi, c’è sempre. La vita religiosa poi – per esempio in India – la vita sacerdotale è piena d’impeto apostolico e sono cose che veramente danno quella speranza, che è fondata nello Spirito Santo, che è una forza travolgente, nonostante noi stessi.
D. – Nel 2014 vede un obiettivo particolare, anche nei suoi auspici, da raggiungere?
R. – Noi speriamo che le Chiese cattoliche orientali possano poco a poco organizzarsi meglio, soprattutto per l’attenzione pastorale di questa nuova realtà, che sono i profughi, gli esuli, quelli che hanno dovuto lasciare la propria patria e che sono, in Europa, nelle Americhe, ma soprattutto in America del Nord e in Australia. Hanno lasciato la loro patria, hanno lasciato la loro tradizione rituale. Speriamo che non la perdano e che le Chiese con l’aiuto della comunità latina, possano organizzare la propria vita ecclesiale in fedeltà al loro patrimonio.
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