R. – La capacità del centro di riabilitazione Palmasola sarebbe intorno alle 800 persone, 600 uomini e 200 donne. In realtà noi abbiamo, secondo la statistica del 2012, 4.520 uomini e 572 donne.
D. – Senza considerare i bambini…
R. – Senza considerare i bambini, perché la legge boliviana prevede che i bambini minori di sei anni possano restare solitamente con la madre all’interno del carcere.
D. – Numerosissimi i reclusi in attesa di sentenza…
R. – Sì, in attesa di sentenza c’è quasi l’80 per cento delle persone detenute. Infatti è un triste primato che abbiamo in Bolivia.
D. – Peraltro è di un paio di anni fa l’orribile notizia di cronaca accaduta all’interno del carcere di Palmasola…
R. – Nel 2013 sono morte più di 30 persone per uno scontro fra bande rivali…
D. – C’è stato un incendio…
R. – Sì, un incendio. La cosa grave è che non si sa come tra le persone morte ci sia stato anche un bambino di due anni…
D. – Leonardito, il bambino che è diventato un po’ simbolo delle ingiustizie che si vivono a Palmasola…
R. – Sì, è una delle ‘punte di diamante’ più gravi che ci sono. La polizia ogni tanto fa perquisizioni all’interno del carcere e riescono sempre a trovare armi da taglio o cellulari, sempre qualcosa che non dovrebbe esserci.
D. – Perché questo è un luogo simbolo scelto dal Papa durante la sua brevissima visita in Bolivia?
R. – Perché è davvero l’espressione di dove la dignità umana viene calpestata e dove davvero i poveri sono i più poveri esistenti.
D. – Un emblema di quella cultura dello scarto più volte denunciata da Papa Francesco…
R. – Esattamente, è un simbolo dell’esclusione sociale. Ci sono un sovrannumero di persone, famiglie che vivono di espedienti, bimbi che crescono nella violenza. Palmasola è un quartiere, è una piccola cittadina. Il padiglione che si chiama PS4 (quello dove si svolge l’incontro con il Papa) è una cittadina dove vivono tante famiglie, dove ci sono negozi, dove ci sono attività commerciali, dove a fare il controllo sociale sono gruppi di detenuti che vengono eletti come rappresentanti e controllano che non ci siano violenze.
D. – La criminalità ha potere sul carcere di Palmasola?
R. – Gruppi di detenuti gestiscono la delinquenza esterna. Ad esempio, c’è stato un periodo in cui, quando ad una persona rubavano la macchina, gli davano il numero di un detenuto di Palmasola: quest’ultimo, dietro compenso, forniva informazioni su dove ritrovare l’automobile.
D. – Le istituzioni stanno tentando di intervenire per risolvere la situazione?
R. – Stanno tentando, però è un problema che si trascina da diversi anni. L’intervento è oneroso e anche faticoso. Io penso che, con calma, qualcosa si stia facendo, anche se si potrebbe fare un po’ più velocemente, come ad esempio la questione delle detenzioni preventive: per tutte le persone che sono in attesa di una sentenza si potrebbe risolvere la questione facendo funzionare la giustizia…
D. – Sicuramente in questo contesto la visita del Papa porterà il carcere di Palmasola sotto i riflettori internazionali…
R. – Richiamerà l’attenzione sulla situazione carceraria in vari Paesi in via di sviluppo che hanno sistemi carcerari molto antiquati. Questo è quello che noi speriamo, anche perché io, ad esempio, lavoro in un centro per ragazzi di 14 – 15 anni che sono privati di libertà, però essendo un centro gestito dalla Chiesa cattolica è un modello: è un centro educativo e non punitivo, dove si lavora perché le persone riscoprano i valori che hanno perso nel cammino della loro esistenza. Dovrebbero essere così tutte le carceri. L’idea è questa. Le persone, non perché hanno compiuto un delitto, un’infrazione, si devono ritenere persone senza diritti.
D . – E’ con questa speranza nel cuore che chi come te è attivo nel sociale vive questa visita del Papa?
R . – Sì, siamo molto contenti della venuta del Santo Padre. Che la sua benedizione dia la possibilità a queste persone private della libertà di vivere un attimo di sollievo e di pace.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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