Siete persone “ai limiti della vita e della morte, della speranza, della disperazione”. Papa Francesco accoglie a Santa Marta i membri della delegazione della Guardia Costiera, rende omaggio alla loro abnegazione e lo fa ricordando le parole che il suo elemosiniere mons. Krajewski pronunciò un anno fa al rientro da Lampedusa, quando parlò di uomini che “rischiano la vita per salvare gli altri” e che poi devono mettere la loro faccia di fronte “a una società che non li capisce”. Ma prima di tutto, dice il Papa, viene la “vita di quella gente”. Lampedusa è stata generosa, così come il suo sindaco che ha coinvolto tutto il popolo, aggiunge Francesco, e per questo l’isola e i suoi abitanti hanno pagato un “prezzo molto costoso”. Hanno perso turismo e soldi “ma hanno salvato vite. Il pensiero del Papa va ad un ragazzo eritreo incontrato a Lampedusa durante il suo viaggio, ne ricorda la vita: cinque volte preso e venduto, fatto schiavo e torturato. In molti non capiscono, dice ancora ai militari, ciò che voi fate, ma quando c’è un ferito, occorre “fasciare le ferite, curarle, guarire quello che si può”, e poi si pensa. “Alcuni Paesi d’Europa hanno risposto bene”, ma la situazione è complessa, perché, sottolinea Francesco, “non è un problema morale che si può risolvere da un giorno all’altro: è lavorare fra la vita e la morte”. Ascoltiamo le parole del Papa:
“E poi io vi ringrazio per quello che voi fate, davvero, perché rischiate la vita, lasciate la famiglia, un giorno, un capodanno, un giorno di festa e poi, senza sapere se si possono salvare questi. E poi, quando tornate, l’accusa di tanta gente: ‘Perché perdere tempo? Finiamola con questo!’ Questo onora voi, onora la vostra forza. Io ho ammirazione per voi, davvero, lo dico, mi sento piccolo davvero di fronte al lavoro che voi fate rischiando la vita, e vi ringrazio di cuore per questo. Ma vi sostengo come posso: con le preghiere e le buone parole e l’affetto”.
A guidare la delegazione della Guardia Costiera, ricevuta ieri dal Papa in Vaticano a Santa Marta, è stato l’ammiraglio comandante, Felicio Angrisano. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
R. – L’emozione per le parole di Sua Santità, ma soprattutto la commozione dei nostri giovani ragazzi che quotidianamente operano per salvare i migranti, è stata forte. La capacità dei giovani di offrire a Sua Santità la fotografia delle loro emozioni, delle loro paure, della speranza che portiamo, e loro portano a chi sfugge da guerre e da disperazione, è stata notevole. Poi, Sua Santità ha usato un’espressione che mi ha mortificato e credo ci abbia mortificato: “Io sono piccolo”. E, allora, a quel punto, mi sono sentito io in grossa difficoltà perché sentirsi dire da un uomo come Papa Francesco quelle parole mi ha fatto sentire un momento a disagio, interiore.
D. – Il Papa ha detto, parlando a lei, parlando a tutta la delegazione: “Siete persone ai limiti della vita e della morte, della speranza, della disperazione”. Sono parole veramente molto forti…
R. – Rappresentano la realtà del nostro impegno, la quotidianità della nostra missione. Noi siamo l’altra faccia del “ma, a me che importa?”. Noi non siamo e non vogliamo essere indifferenti al dolore. Ci troviamo di fronte a degli assassini e ho detto questo anche al Santo Padre: che quel coraggio, la professionalità, la generosità, l’altruismo, la fraternità potrebbero un momento non bastare più di fronte a questa recrudescenza dei venditori di morte, dei mercanti di carne.
D. – Questi giovani membri della Guardia costiera sfidano ogni giorno, e lo abbiamo visto, la forza della natura per salvare le persone. Non si sono fermati ultimamente neanche di fronte a onde alte 10 metri…
R. – Siamo stati criticati perché le nostre imbarcazioni non erano adatte a prestare quel soccorso: se non fossero andate quelle imbarcazioni pensate, costruite, equipaggiate, per affrontare onde alte otto metri, noi oggi non avremmo contato solamente 29 morti, ma 29 più i 75 che sono stati salvati. Noi abbiamo messo al centro del nostro lavoro la persona.
Fonte. Radio Vaticana
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