Papa Francesco ha ricevuto, ieri in udienza privata a Casa Santa Marta, il piccolo Ignazio Fucci con la sua famiglia. Il bambino di 8 anni è affetto da una malattia rara, della quale sono registrati soltanto 40 casi nel mondo. Ignazio è stato il primo bimbo in Italia a sottoporsi a trapianto di midollo donato dalla mamma.
Da ottobre 2014 è ospite, con i suoi genitori, della Casa Bernadette, la struttura gestita dal “Progetto Bambini” dell’Unitalsi che accoglie gratuitamente le famiglie con bambini ricoverati o in cura presso l’Ospedale Bambino Gesù. All’udienza era presenta anche Emanuele Trancalini, presidente di Unitalsi Roma e responsabile nazionale del Progetto Bambini. Alessandro Gisotti per Radio Vaticana ha raccolto la sua testimonianza sul toccante incontro:
R. – È stato veramente un momento di grande commozione. Immaginate che si tratta di una famiglia che soffre da qualche anno e che, ad un certo punto, ha dato per finita la vita del proprio figlio, e ora si trova davanti al Santo Padre che li ascolta: è stato veramente un momento di grande commozione e molto tenero. La cosa particolare è questo grande amore di Papa Francesco per queste situazioni di sofferenza. L’ho visto molto preso ed emozionato. Poi mi hanno colpito le sue parole rispetto al grande lavoro che stiamo facendo come Unitalsi con le nostre case di accoglienza. Mi ha colpito quando mi ha detto che le persone devono sapere quanto io sia contento e quanto sia colpito da questa grande dedizione verso le persone più deboli e malate. Questo per noi è stato un incentivo in più per andare avanti e capire che non dobbiamo mollare da questo punto di vista.
D. – Papa Francesco recentemente, rispondendo alla domanda di un bambino che poi è contenuta in un libro sottolineava che se potesse fare un miracolo, se dovesse scegliere, guarirebbe tutti i bambini. C’è una forte consapevolezza nel Papa della sofferenza inspiegabile, lui stesso lo dice, se non con gli occhi della fede di un bambino affetto da una malattia grave …
R. – Lui ha detto più volte di essersi chiesto il perché di questa sofferenza e questo lo rende molto umano. Ieri si è vista veramente questa grande attenzione e questa sua sofferenza, anche nell’ascoltare la storia di questo bambino. È una cosa che mi ha colpito molto così come l’incoraggiamento che ha dato alla famiglia che ad un certo punto ha detto: “Papa Francesco, noi siamo stati per un periodo arrabbiati con Dio per tutta la situazione che si è venuta a creare”. Devo dire che Papa Francesco è stato molto tenero, ha cercato di tranquillizzarli. La famiglia si sentiva quasi in colpa di questo. Lui li ha tranquillizzati dicendo di trasformare anche questo in preghiera e chiedere la forza e il coraggio. Sono stati momenti di tenerezza pura.
D. – Questo incontro di ieri come poi il tanto, tanto tempo che Francesco passa con i malati, disabili all’udienza generale e in tanti altri incontri ha molto a che fare con il Giubileo della Misericordia …
R. – Assolutamente. Infatti poi è quello che è uscito fuori con la famiglia. Sono stato con loro tutto il giorno e il papà ad un certo punto mi ha detto: “Emanuele, ma il Papa ci stava ascoltando? Stava proprio lì con noi? Ci ascoltava? Era interessato a quello che dicevamo!”. Erano incoraggiati da questo. Quindi anche la considerazione, l’essere ascoltati. Credo che alla fine siamo, davanti alla malattia, tutti un po’ impotenti. Questo credo che abbia dato loro una grande forza. Potrei dire che questo è uno dei grandi segni del Giubileo della Misericordia!
D. – Dall’ottobre 2014 il piccolo con il papà e la mamma sono seguiti dalla Casa Bernadette, gestita dal Progetto Bambini dell’Unitalsi. Ovviamente un evento come questo e le parole stesse di Francesco, che lei ricordava, sono un grande incoraggiamento ad andare avanti …
R. – Assolutamente sì, anche perché queste case – il Progetto Bambini ormai va avanti da più di dieci anni – sono un grande incoraggiamento per tutte le famiglie che sono passate nelle nostre strutture. Purtroppo devo dire che abbiamo delle liste di attesa lunghissime. Ci sono tantissime famiglie in queste condizioni. Quello della malattia è un mondo nascosto, che non si conosce. Purtroppo se ne viene a conoscenza solamente quando ti colpisce in prima persona. La nostra testimonianza deve essere di apertura. Bisogna far conoscere queste situazioni, bisogna far conoscere le strutture; ce ne devono essere sempre di più perché c’è un grande bisogno. C’è un mondo dietro. Noi abbiamo iniziato questo progetto proprio perché abbiamo visto persone, famiglie intere dormire in macchina fuori dagli ospedali. Questo non è umanamente possibile, soprattutto per un cristiano, un credente! Ci sono famiglie che vengono completamente lasciate sole, purtroppo. Forse in questi casi devono lasciare il loro Paese, la loro casa, il loro lavoro a seguito della malattia di un figlio perché a quel punto lasci tutto. E noi non possiamo lasciare sole queste famiglie!
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)