C’è grande attesa per il primo viaggio che Papa Francesco compirà in Africa. Tre i Paesi visitati, dal 25 al 30 novembre: Kenya, Uganda e Centrafrica. Su questo importante evento, Alessandro Di Bussolo del Centro Televisivo Vaticano ha intervistato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin:
D. – Eminenza, Papa Francesco inizierà il suo viaggio in Africa dal Kenya, dove in aprile 147 studenti furono uccisi da estremisti islamici, come i tantissimi giovani trucidati a Parigi. Rivolgerà un nuovo appello ai credenti di tutte le religioni?
R. – Sì, credo che il Papa non potrà non avere negli occhi e nel cuore queste immagini raccapriccianti di questi 147 studenti uccisi in Kenya e delle persone, e soprattutto dei giovani, trucidati a Parigi. Sarà questa un occasione per rinnovare l’appello che il Papa continuamente fa – il Papa è in prima linea in questo senso – agli appartenenti a tutte le religioni, a non usare il nome di Dio per giustificare la violenza. L’ha detto nel post Angelus di domenica scorsa, che fare questo è bestemmiare. Quindi non è assolutamente rendere lode a Dio ma offendere in maniera gravissima il nome di Dio e il suo amore per noi e Dio stesso. E poi appunto l’appello a fare delle religioni quello che le religioni sono e devono essere, cioè operatrici di bene, fattori di riconciliazione, di pace, di fraternità nel mondo d’oggi, in un mondo già lacerato da tanti conflitti di varia natura. E farlo insieme, questo mi pare un punto importante, farlo insieme. Oggi le religioni devono trovare il modo di lavorare insieme, di collaborare insieme per aiutare l’umanità a diventare sempre più fraterna e solidale. Questo attraverso soprattutto il dialogo interreligioso. Ecco mi pare che saranno questi i punti che il Papa continuerà a sottolineare anche in questa tappa della sua visita.
D. – Papa Francesco visiterà per la prima volta il continente africano, che è ancora considerato periferia del pianeta. Possiamo aspettarci che riprenda i temi dell’Enciclica Laudato si’ e del discorso all’Onu sulla difesa dell’ambiente naturale e la lotta contro l’esclusione sociale ed economica?
R. – Sì certamente. Sappiamo come il Papa ha particolarmente a cuore questi temi e come questi temi, che in fin dei conti sono parte dell’insegnamento tradizionale della dottrina sociale della Chiesa, almeno a partire da Leone XIII e poi applicati alle diverse situazioni che via via si sono presentate, troveranno una particolare risonanza nel continente africano per quelle ragioni che lei diceva e quindi ci sarà un forte messaggio in questo senso. Di lottare contro la povertà, contro l’esclusione. Di assicurare ad ognuno dei suoi componenti una vita degna, una vita che rispetti la dignità di esseri umani e di figli di Dio delle popolazioni dell’Africa. E ci sarà anche l’occasione di farlo, perché a Nairobi ci sono due organizzazioni delle Nazioni unite che si interessano particolarmente di questi problemi e cioè il Programma delle Nazioni unite per l’ambiente, l’Unep, e quello per l’habitat, l’Onu habitat, e poi siamo alla vigilia di due avvenimenti importanti. Prima di tutto la Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, che inizierà proprio in coincidenza con la fine del viaggio del Papa, e la decima Conferenza ministeriale dell’organizzazione mondiale del commercio, che si terrà a Nairobi nei giorni seguenti la visita del Papa. Quindi anche queste circostanze vanno nel senso di una ricerca di criteri etici per governare l’economia in maniera equa, in modo tale che i benefici di questa economia possano giungere a tutti e a ciascuno.
D. – Nella Repubblica Centrafricana, il Papa aprirà la prima Porta Santa del Giubileo della Misericordia. Un gesto che darà forza al suo messaggio di pace e riconciliazione per il Paese e per tutto il continente?
R. – Ne ha bisogno, la Repubblica Centrafricana, di pace e misericordia, ed è un gesto molto bello, quello che farà il Papa anticipando naturalmente l’apertura della Porta Santa per la Chiesa universale l’8 dicembre nella Basilica di San Pietro. Sarà un gesto, anche questo, per manifestare misericordia, manifestare vicinanza ad una popolazione duramente provata per una situazione endemica di povertà e di precarietà che si è aggravata in ragione del recente conflitto. Di questo conflitto che ancora perdura e di questo clima di violenze e di ostilità che ancora è presente nel Paese. E sarà, oltre che una manifestazione di vicinanza, un incoraggiamento a curare le ferite, un incoraggiamento a superare le divisioni in nome del rispetto e dell’accettazione reciproca, in maniera tale che i gruppi che ora si fronteggiano possano trovare le ragioni per lavorare insieme a beneficio del bene comune del Paese. Questo sarà il grande messaggio, un messaggio ancora una volta di dialogo, di accettazione dell’altro, di comprensione delle sue ragioni, di collaborazione in vista di un bene superiore. E credo che questo messaggio di incoraggiamento il Papa lo rivolgerà anche a tutti coloro che cercano di aiutare il popolo centrafricano a superare questo momento di crisi. Parlo delle organizzazioni non governative, parlo anche dei vari organismi della comunità internazionale. Un incoraggiamento ad andare avanti in questa opera di supporto, di sostegno, nonostante tutte le difficoltà e gli ostacoli che possono incontrare.
D. – In Uganda, Papa Francesco onorerà i santi martiri canonizzati 50 anni fa. A più di un secolo dalla morte, la loro testimonianza di fede parla ancora all’Africa e al mondo di oggi?
R. – Certamente, parla ancora e con voce eloquente. Basterebbe pensare a quanto già Paolo VI disse al momento della loro canonizzazione, mettendo proprio in risalto la qualità della loro fede e le conseguenze della loro fede. Parla nel senso che ci dice che per i valori profondi – che poi per noi cristiani sono la persona Gesù Cristo – si è disposti a dare la vita e non soltanto per le cose effimere o per la ricerca di beni passeggeri, il benessere soltanto materiale. Ci sono alcune realtà per le quali si deve essere disposti a dare la vita. E nello stesso tempo ci dicono anche che la fede può diventare veramente il seme, il germe, l’inizio di un umanesimo più pieno e più integrale, e che quindi la fede diventa anche una motivazione in più, e una spinta in più per costruire una società fraterna, una società pacifica, una società solidale e per cercare davvero il bene di tutti.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)
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