Intervista con il cardinale Segretario di Stato vaticano sul dramma dei migranti nel Mediterraneo: «Va stroncata la rete dei trafficanti. Bisogna creare le condizioni nei Paesi di provenienza perché l’esodo si fermi. Dobbiamo costruire la pace con più dialogo»
Serve una collaborazione «più concreta» dell’Europa. Bisogna «creare le condizioni» nei Paesi di provenienza perché l’esodo si fermi e «costruire la pace con più dialogo». Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, in questa intervista con Vatican Insider parla del dramma dei migranti nel Mediterraneo.
Qual è la sua prima reazione di fronte al dramma di questi giorni?
«È una tragedia enorme. Negli ultimi anni si sono succeduti tantissimi episodi del genere. Però certo questo ha una dimensione che fa rabbrividire. Quante persone che cercavano la salvezza fuggendo da situazioni di povertà, di violenza, hanno trovato la morte in fondo al mare: è qualcosa che davvero spaventa. La mia reazione è un grande dolore».
Che cosa auspica la Santa Sede?
«Questa ennesima tragedia richiama la responsabilità di tutti, non possiamo rimanere indifferenti. Dobbiamo darci da fare: il Papa lo richiamava anche nel discorso di sabato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ringraziando l’Italia per quanto aveva fatto e dicendo allo stesso tempo che c’è davvero bisogno di un coinvolgimento generale soprattutto da parte dell’Europa, per dare risposte a questi problemi e per evitare che si ripetano queste tragedie».
La Ue deve considerare le coste italiane come proprie?
«Credo che l’Europa debba farsi carico di un problema che non è soltanto italiano o che lo è solo in prima battuta perché siamo i più vicini dal punto di vista geografico alle coste africane, ma il fenomeno migratorio poi interessa tutti. A questi problemi un Paese solo non è in grado di dare risposte soddisfacenti».
L’Europa è cosciente di questa responsabilità?
«Credo che abbia questa coscienza, sono stati fatti passi avanti rispetto al passato, ma di fronte a questi eventi bisogna che la collaborazione si faccia più precisa e molto più concreta».
Che cosa bisogna fare, al di là dell’emergenza di salvare le vite di quanti rischiano di annegare?
«Bisogna creare nei Paesi di provenienza condizioni che permettano di restare e non favoriscano l’esodo. E bisogna stroncare tutta la rete dei trafficanti. Questo è uno dei punti fondamentali: purtroppo ci sono persone che guadagnano speculando sulle vite di così tanti innocenti».
La Chiesa quale contributo può dare?
«Oltre naturalmente a tutta l’opera di promozione sociale che favorisca le condizioni di cui parlavo, credo che la Chiesa potrebbe anche fare un’opera di convinzione maggiore, rendendo coscienti dei gravi rischi a cui vanno incontro questi profughi. Mi hanno colpito le interviste con alcuni sopravvissuti: qualcuno pensava che il Mediterraneo da attraversare fosse soltanto un fiume. Molti non sanno ciò a cui vanno incontro o sono stati ingannati».
Resta il fatto che la gente fugge da situazioni difficili…
«Vanno create le condizioni perché non si producano più questi flussi. Poi c’è il grande tema della pace: in molti casi è gente che fugge da zone di guerra. E dunque il problema dei migranti è legato allo sforzo della diplomazia internazionale per trovare soluzioni pacifiche ai conflitti».
C’è chi accusa la Santa Sede di insistere troppo sulle soluzioni diplomatiche. Come risponde?
Ne siamo convinti: di fronte ai conflitti che si moltiplicano nel pianeta c’è bisogno di più dialogo, non di meno dialogo. Certo il dialogo non è una soluzione magica, comporta delle condizioni, che ci sia la volontà di dialogare per trovare soluzioni condivise e pacifiche. Probabilmente questa volontà non c’è in tutti, però noi crediamo che non ci siano altre strade per risolvere i problemi del nostro mondo. Dovremmo lavorare tutti in questo senso».
La sorprende l’insistenza con cui il Papa parla del traffico d’armi e degli interessi economici dietro le guerre?
«Non mi sorprende perché tocca un punto nevralgico: ci sono troppi interessi materiali in gioco che spesso prevalgono. Mi pare che il Papa dimostri un grande realismo richiamando ciascuno alle proprie responsabilità».
Lei è veneto e anche nella sua regione si diffondono posizioni di chiusura verso degli immigrati. Come le commenta?
«C’è un compito di regolazione dei flussi migratori che spetta all’autorità, non si può dire che va bene tutto, sempre. La legalità va coltivata e promossa da parte di tutti. Non credo però che certe soluzioni di chiusura siano risolutive, la storia l’ha dimostrato. Dove ci sono stati i muri, questi hanno creato ancora più odio, ancora più contrapposizione, ancora più conflitto. Possono apparire soluzioni efficaci a breve termine, ma non portano pace. Io spero che i veneti continuino anche in queste situazioni di emergenza a manifestare quello spirito di solidarietà e accoglienza che li ha sempre caratterizzati».
Anche molti veneti sono stati migranti…
«Sì, hanno subito sulla loro pelle tutte le difficoltà delle migrazioni. Il problema è che ci dimentichiamo spesso della nostra storia. E magari dopo sessant’anni di pace e di benessere molti non pensano che i loro genitori o i loro nonni hanno sofferto per le stesse ragioni che oggi muovono tanta gente per il mondo, alla ricerca di lavoro, di pace, di progresso».
Per l’esperienza che ha lei dell’Italia, l’aspetto dell’accoglienza è prevalente?
«Credo di sì, l’Italia ha tante risorse. Anche se la secolarizzazione avanza, c’è ancora un senso di fede. Abbiamo bisogno di essere un po’ più riflessivi, senza reagire in maniera superficiale, ritrovando quei valori che ancora permangono nella nostra società e nei cuori degli italiani».
Di Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi per Vatican Insider (La Stampa)